HomeDialogandoTumore prostatico e diagnosi precoce: nuovo marker più promettente del PSA (Prostate-specific antigen) – Intervista al Prof. Vincenzo Franchini

Tumore prostatico e diagnosi precoce: nuovo marker più promettente del PSA (Prostate-specific antigen) – Intervista al Prof. Vincenzo Franchini


Intervista al Prof. Vincenzo Franchini – Responsabile Unità Operativa di Urologia e Capo del Dipartimento Chirurgico – Casa di Cura San Pio X di Milano

1- incidenza del carcinoma prostatico e mortalità

Professore, con quale frequenza rilevate il CaP e quale è il tasso di mortalità?

I dati, riferiti dalla AIOM, Associazione Italiana di Oncologia Medica, confermano che l’incidenza del CaP è legata all’età: a 40 anni si ammala 1 maschio su 10.000, mentre tra i 60 e gli 80 anni, 1 su 8. In termini assoluti, significa circa 43.000 nuovi casi ogni anno, con un numero di decessi tra i 7.500 e i 9.000 a seconda delle fonti statistiche. I dati OMS del 2002 parlano di 25.000 nuovi casi/anno, a fronte di un ugual numero di decessi. I casi di CaP sono aumentati, perché oggi è una patologia ampiamente indagata, ma si è abbassata notevolmente l’incidenza sui decessi, rimasti simili per numero, segnale concreto che la diagnosi precoce e la terapia ottengono i loro effetti positivi.

2- storia e genesi della malattia, familiarità

Il tumore prostatico è ereditario? È un tumore a crescita veloce?

Non si eredita il tumore, ma la predisposizione ad ammalarsi; mediata da un gene che sembra sia stato individuato nella razza bianca. Il rischio è 10 volte superiore tra padre e figlio e di circa 3-4 volte per i rami di parentela collaterali. C’è da precisare che in meno del 5% dei casi è possibile riscontrare una familiarità. È un tumore a crescita lenta: raddoppia la sua massa ogni 5 anni. Massa inizialmente molto piccola e con la caratteristica di nascere e crescere come piccoli atolli nell’oceano: motivo per cui si rendono necessari molti prelievi durante la biopsia. Proprio per aumentare la possibilità di trovarlo e diagnosticarlo.

3- importanza dello screening

Secondo lei attualmente il tumore prostatico è tra i tumori che viene sempre cercato nelle indagini di routine? Da quale età è importante indagare la prostata?

Le campagne di stampa, nei decenni, hanno sensibilizzato sufficientemente la popolazione: ormai è il paziente che, ad un certo punto della sua vita, in genere intorno ai 50 anni, chiede al medico di famiglia di fare un “controllo della prostata”. Possiamo affermare che, in Italia, più dell’80% della popolazione maschile esegue, prima o poi, uno screening per la diagnosi del CaP. In alcune Regioni si arriva al 90-95%, in altre ci si ferma al 50-60%. L’importanza dello screening è anche nella frequenza: dovrebbe essere annuale, a partire dai 50 anni di età. Se esiste familiarità, è bene iniziare a 40 anni.

4- sintomi e iter diagnostico

Quali sintomi devono allarmare il paziente e farlo rivolgere al medico?

Purtroppo non esistono sintomi soggettivi, cioè riferiti dallo stesso paziente, che facciano sorgere il dubbio di un CaP in atto. Quando esistono, il tumore è quasi sempre in fase molto avanzata. Anche in questo caso, i sintomi sono aspecifici, nel senso che sono comuni a molte affezioni banali dell’apparato urinario.

5- marker diagnostici

Quali esami sono consigliati per indagare la presenza del carcinoma prostatico?

Due sono gli esami fondamentali, che devono correre appaiati come i binari del treno, uniti da salde traversine: 1- Il dosaggio del PSA 2- Visita dello specialista urologo. Il primo perché, da quando esiste, circa 30 anni, ha permesso un cambiamento radicale nella diagnosi precoce del CaP, cambiando completamente il destino dei pazienti colpiti dalla malattia, una volta destinati solo a terapie palliative. Il secondo perché il 3-5% dei casi di CaP vengono diagnosticati per mezzo della esplorazione rettale, che, anche in pazienti con PSA normale, può evidenziare aspetti sospetti che conducono all’esecuzione della biopsia. L’ecografia prostatica riveste un’importanza minore nello screening, perché quando questa indagine evidenzia aspetti sospetti della prostata, generalmente ci troviamo di fronte ad uno stadio della malattia già avanzato.

6- quando è necessario eseguire una biopsia prostatica?

Quale valore di Psa e/o quali sintomi consigliano l’esecuzione della biopsia prostatica?

Quando il PSA supera il valore massimo ammesso e questo valore viene confermato, è necessario eseguire una biopsia. Sottolineo che ho appositamente detto ‘confermato’, perché è mia abitudine, comune a molti altri colleghi, far ripetere l’esame al paziente, dopo una breve terapia antinfiammatoria, per escludere la possibilità che il PSA sia alterato a causa di infiammazioni o infezioni prostatiche in atto, condizioni che possono portare ad un aumento dei valori del PSA stesso.

7- il test p2proPsa

I giornali hanno dato recentemente notizia di un nuovo esame del sangue che eviterebbe il ricorso alla biopsia prostatica; è una speranza reale?

Premettiamo qualche dato: il 5% dei pazienti con un PSA di poco superiore ai valori ammessi è portatore di CaP; arriviamo al 20-25% per quelli con un PSA vicino ai 10 ng (nanogrammi)/ml; saliamo al 55% nel caso di PSA superiore a 10 ng/ml; Numeri importanti, che giustificano il ricorso alla biopsia prostatica: gli stessi numeri, però, ci dicono che rispettivamente il 95, 75 e 45% delle biopsie eseguite risulteranno negative, cioè non evidenzieranno un CaP. Attenzione, però: negatività non significa assenza. Negatività significa che nei 12-20 campioni di ghiandola che vengono prelevati non si è riscontrato tumore. E’ importante rammentare che il tumore nasce e cresce nella prostata come isole separate da un mare vastissimo. Questo è il motivo perché non si esegue un solo prelievo, come avviene nella maggior parte dei tumori, ma si prelevano numerose “carote” di tessuto, da varie zone, ben determinate, della ghiandola. Esiste sempre la possibilità che l’isola tumorale sia stata mancata e non esiste alcun metodo oggi conosciuto per guidare l’ago bioptico verso un’area prostatica sospetta. Tutto ciò giustifica quanto prescritto dalle Linee Guida Europee ed Internazionali, cioè il ricorso ad una seconda o terza biopsia della prostata, a distanza di 6 mesi, nei casi in cui il PSA resti elevato dopo la prima biopsia. Gli sforzi massimi sono, quindi, diretti ad individuare un test più preciso del PSA, che permetta di ridurre il numero delle biopsie inutili. Il nuovo esame, il p2proPSA, individuando e dosando una frazione particolare del PSA, altamente presente nelle cellule tumorali prostatiche, permette di ridurre del 25-30% il numero delle biopsie, concedendo maggior tranquillità al paziente e al curante, nei casi in cui si decida di attendere e di ‘sorvegliare’ semplicemente la situazione.

8- corretta indicazione

Tutti devono sottoporsi a questo nuovo test per diagnosi precoce del tumore prostatico?

No. L’esame principe è e resta il dosaggio del PSA che conosciamo tutti; solo nei casi in cui questo risulti fuori dai valori normali, allora è giustificata l’esecuzione del proPSA.

9- interpretazione dei risultati: significato ai fini bioptici

Eseguendo questo test si può evitare la biopsia?

Per merito di questo esame -ed esclusivamente per decisione dell’urologo- un 30% circa dei pazienti con PSA alterato riuscirà ad evitare o procrastinare la biopsia. C’è un altro aspetto, molto importante, del proPSA: sembra ormai accertato che esso sia anche un indice di aggressività del tumore, cioè che possa dirci quando è necessario decidere per una qualunque forma di terapia e quando invece possiamo mantenere una sorveglianza vigile ed attiva. E’ importante sottolineare che il nuovo esame p2proPSA riduce il numero di biopsie alle quali dovrà sottoporsi la popolazione maschile sotto indagine, ma non è sostitutivo della biopsia. Resta quindi l’importanza del nuovo test con beneficio, in primis, del paziente che grazie ad esso limita il numero di biopsie e, in secondo luogo, del sistema sanitario che riduce i costi vivi ed organizzativi. 10-modalità di esecuzione e costi Come viene effettuato il test e i costi sono a carico del SSN? Il test comporta un semplice prelievo di sangue, eseguibile anche non in situazione di digiuno. La risposta del laboratorio non comporta tempi di attesa elevati e viene fornita già nell’arco di 24-48 ore. Attualmente è al vaglio degli Organi competenti l’immissione del test nei prontuari del SSN, che, penso, non si farà attendere. Per ora è a carico del paziente e comporta un costo intorno ai 120 euro.

 

Milano, 15 novembre 2010

Casa di Cura San Pio X

A cura di Mariateresa Canale

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