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APOCRIFA: Lord of the Spies

I migranti sono – mediaticamente parlando – scomparsi dagli schermi in agosto e prendiamo atto che ad onta delle peggiori e più drammatiche previsioni (peraltro basate su dati), i paventati sbarchi si sono quasi fermati: solo 2.859 arrivi nel mese di agosto 2017 contro i 10.366 nel medesimo mese del 2016 (con un decremento di oltre il 70%). Nei giorni di fuoco non solo meteorologico del 27 e 28 giugno ben 25 navi hanno sbarcato contemporaneamente in questo disgraziato e negletto Paese, ambìta méta di moltitudini ancora più disgraziate: circa 10.000 persone. E il 14 luglio, mentre il presidente dei cugini d’oltralpe festeggiava al sicuro dei suoi porti chiusi al traffico la presa della Bastiglia, altri 4.000. Nonostante ciò, gli sbarchi del luglio 2017 (11.459) sono rimasti significativamente inferiori a quelli del corrispondente mese dell’anno precedente (23.552).

Cosa sia accaduto non si sa, come è rigorosamente garantito in un mondo che vive nell’ombra per ragion di stato, e nemmeno se la situazione odierna sia contingente oppure destinata a realizzare, finalmente, un’inversione positiva della tendenza.

Nondimeno alcune considerazioni sembrano realisticamente possibili, senza voler dare a nessuna argomentazione l’ultima parola che, per definizione, manca.

Ignorando se abbia agito sua sponte o cogliendo qualche frutto nel solco di lavoro precedente (è nota la saggezza fuori dal tempo del detto evangelico: uno semina e uno miete), diamo volentieri atto che l’attuale ministro degli Interni, argutamente ma non a caso forse indicato dal NY Times come Italy’s ‘Lord of the Spies’, ha realizzato, con la copertura del suo governo – come è ovvio e necessario in un ordinamento democratico (in particolare per la spesa necessaria all’operazione) – rilevanti progressi che ai predecessori, lavorassero del pari nell’ombra o rimanessero neghittosi dietro alle parole di circostanza, non sono arrisi.

Il famigerato porto di Sabratha, base – come sembra – di negrieri libici et extra nel quale sotto agli occhi di tutti ferveva la vita (chiamiamola così) delle attività illegali assomiglia ora a un tranquillo porto passato di moda e in bassa stagione: i traghettamenti (per contrastare i quali la UE si era spinta a suggerire di non vendere motori fuoribordo a individui sospetti di libica nazionalità) risultano sospesi fino, si deve intuire, a nuova disposizione. Rispetto a prima è già qualcosa sebbene non definitiva.

Alcune ONG il cui scopo è dichiaratamente umanitario, ma le cui modalità operative in mare hanno anche dato adito a indagini da parte della Procura di Trapani (confidiamo che agli annunci seguano informazioni concrete e, nel caso, anche provvedimenti formali atti a rendere giustizia ai soggetti in buona fede e troncare le attività di quelli che in buona fede non sono) hanno manifestato comportamenti discutibili allorché, nel quadro del codice di comportamento delineato ad hoc dal Ministero italiano, si è iniziato a sentire odore di sbirri: mah! I numerosi cittadini che, con le loro offerte, sostengono le ONG hanno invece diritto a risposte chiare e pertinenti, non ideologiche, poiché il sospetto di conciliaboli con i negrieri non è sembrato sempre e ovunque privo di fondamento.

Lo scenario territoriale-politico-sociale della Libia è quello che è: un ammasso senz’ordine di tribù litigiose e contrapposte cui meglio sembra adattarsi, più che la diplomazia delle forme, quella dei servizi segreti e del denaro senza nome.

Il divide et impera dello scaltro fatto passare a miglior vita dittatore che, in particolare, alcuni soggetti occidentali hanno eliminato senza curarsi (o senza immaginare, che è ancora peggio) di quanto sarebbe accaduto dopo e segnatamente per propria ambizione personale (quindi per motivi che si commentano da soli) è stato prontamente seguito dallo scoperchiamento del pericoloso vaso che dura ancor oggi né mostra prospettive di soluzione.

Un po’ come accaduto per l’Iraq preso di punta dagli USA assecondati, in particolare, dalla Gran Bretagna lungo una pista, quella del pericolo nucleare, non si sa se pretestuosa o non adeguatamente istruita, ma non corrispondente al vero. Gli effetti, in ogni modo, seguono alle loro cause indipendentemente dalla capacità e correttezza dei politici di turno purtroppo potenti.

Ora, le medesime organizzazioni irregolari o criminali libiche che prosperavano (e non solo loro) sul traffico negriero si sono convertite e divenute, di fatto, le garanti dell’ordine e della legalità e della chiusura del corridoio verso l’Italia, fino a poco prima il paese di Bengodi essendo l’unico con i porti aperti e a disposizione nel vago e generalizzato disinteresse (a parte la Germania) dei compagni di viaggio europei.

Per questo motivo suona poco credibile che la conversione delle bande sia avvenuta per folgorazione sulla via di Tripoli, bel suol d’amore, o di Bengasi etc. anche se il nostro governo non può rispondere che formalmente negando, come ha già fatto. Sono soldi comunque spesi meglio di quelli erogati alle sedicenti cooperative incaricate della gestione dei migranti variamente finite nel mirino della giustizia o delle inchieste giornalistiche per lo sfruttamento degli ospiti.

Rimane comunque fra i tanti un problema che diventa il problema, costituito da decine di migliaia di esseri umani già chiusi nelle stie libiche (per esempio Triqsiqqa) in condizioni peggiori dei campi di concentramento ove l’inviato speciale del Corsera qualifica l’aria che si respira come ‘acre’: sono stati depredati di cifre ingenti e maggiormente ancora se viste nella prospettiva delle condizioni economiche dei rispettivi paesi d’origine ai quali peraltro non sono più in grado di tornare sia per motivi legali (sconfinamenti illegittimi) sia economici (mancanza di risorse).

Su questo versante devono muoversi e in fretta le organizzazioni internazionali deputate e perché no? le ONG onde consentire il ritorno di quanti sono rimasti nella tagliola della speranza sfumata. Mentre i nuovi arrivi dalle frontiere del sud sono logicamente diminuiti fino ad essere praticamente sospesi sia per l’effetto della notizia circa la chiusura del corridoio sia per la novità della (maggiore?) sorveglianza alle frontiere.

Va da sé che la contingenza della situazione e la sua precarietà sono in re ipsa, come si suol dire: con l’esplosione demografica prevista dagli esperti per le regioni africane nei prossimi anni solo un piano internazionale serio, costoso e condiviso da politici umili e responsabili, senza le solite comparsate da sceneggiata napoletana che taluni partners europei hanno imparato a fare meglio delle originali, potrà, portando in loco lavoro e cibo sufficiente (agricoltura: pozzi, macchine, conoscenze etc.) evitare che i flussi migratori riprendano e con una forza che neanche le bande e i predoni (dato e non concesso che non si ri-convertano un’altra volta in senso contrario) potranno più contenere.

In questa prospettiva il problema più difficile da risolvere sarà evitare che gli aiuti internazionali siano efficaci per le popolazioni ed evitare che siano intercettati, come avvenuto nel passato, dai potenti e dalle corruttele locali: ma è un passaggio obbligato e ineludibile.

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