EDITORIALE: Fatti di cronaca drammatici
Quando si registrano fatti di cronaca drammatici che, in particolare, hanno per vittime i giovani regolarmente, fra colpevolisti e innocentisti, emerge polemica intorno al perimetro dello ‘andarsi a cercare’ -direttamente o indirettamente- l’evento dannoso.
A prescindere dalle modalità comunicative, non di rado sopra le righe e quindi poco efficaci, per il tramite delle quali le diverse considerazioni sono presentate sembra nella sostanza esserci poca attenzione per una visione che non sia solo ideologica di una tematica, viceversa, complessa.
Perché necessariamente comprensiva di condizioni svariate.
Da una parte c’è lo scenario del collettivo e dall’altra lo scenario dell’individuale, mentre nel mezzo si trova l’incontro o lo scontro fra i due.
Se i primi due luoghi, chiamiamoli così, presentano ciascuno proprie scivolosità o carenze idonee a creare zone opache, a maggior ragione il terzo che costituisce il punto di contatto.
Non c’è dubbio che nel collettivo esiste il male e il pericolo poiché a fianco di tante persone oneste e per bene l’insieme ne contiene altre (tante a loro volta? Certo non eccezioni) che non lo sono e che nella numerosità si dissimulano.
Parimenti nell’individuale poiché ciascuno è dotato di una sua etica (i comportamenti possono essere sia positivi sia negativi) e di una sua moralità oltre che di una cultura singola.
Il punto di contatto risente quindi di un’ampia graduabilità di variabili ed è al tempo stesso influenzato da condizioni e concetti diversamente vissuti e interpretati dai soggetti come ad esempio l’idea della libertà, del potere, del lecito, dell’illecito, del limite, del divertimento etc.
E’ del tutto evidente che almeno in gran parte (si spera) la cittadinanza vorrebbe che il male e i balordi non ci fossero o quantomeno venissero efficacemente prevenuti in modo da incidenti.
Nondimeno così obiettivamente nella realtà non è e di questo bisogna realisticamente tenere conto per evitare un inquinamento ideologico che con i fatti nulla ha a che vedere: quindi si entra in una prospettiva ove la considerazione si deve anche volgere e comprendere il senso del limite, dell’esperienza (anche altrui), della prudenza.
In una parola deve volgersi all’equilibrio minimo, ma consapevole che proviene da una scelta responsabile. Ed è questo, il metodo della scelta responsabile, che va insegnato prima, anche con l’esempio, ai giovani piuttosto che compatirli o sgridarli dopo.
Un certo livello di rischio c’è sempre, in ogni cosa umana, ed è costituito da imponderabile, imprevedibile, fatalità o altro, ma va da sé che ove si scelga di mettersi autonomamente e volontariamente in stato di incapacità d’intendere e di volere per alcool o pasticche o altro il rischio e la probabilità di incidente o brutto incontro aumentano.
Se questa è la cultura del divertimento o del tempo libero che si sceglie, le sue possibili conseguenze critiche sono abbastanza prevedibili per chiunque.
E non serve pensare o chiedere (a chi?) o pretendere che là fuori (o là dentro) non dovrebbe esserci rischi oppure dovrebbe essere preventivamente cauterizzato il soggetto che potrà illegittimamente approfittare dello stato di minorazione, peraltro ricercato e indotto oltre che accettato come componente del divertimento medesimo.
Andare o non andare a cercarsi un guaio può essere pesantemente influenzato non tanto da una serie di sì o no a priori, quanto dal senso di responsabilità personale e dalla conseguente capacità di scelta.