EDITORIALE: Onori e oneri dei potenti
Diamo atto che talvolta anche i potenti, da molti invidiati per i loro privilegi mondani e sociali oltre che per le posizioni, appunto, di potere che rivestono, sono costretti da forze cui non riescono a sottrarsi a mandare giù qualche bicchiere di acqua sporca.
Un comune cittadino, quisque de populo, potrebbe signorilmente mettere giù la cornetta e non doversi sorbire le pelose e diplomatiche condoglianze degli alti rappresentanti del popolo (diciamo così) egiziano e neanche perdendo l’occasione di esprimere agli interlocutori in modo diretto e comprensibile il proprio pensiero non necessariamente rientrante nel politicamente corretto.
I politici, viceversa, subiscono per forza (e comprensibilmente, anche se -in ispecie per casi come questo- si fa fatica ad accettarlo) condizionamenti di ragion di stato e di vicinato e di alleanze oltre che delle onnipresenti reti di ordine commerciale che, sfortunatamente, impediscono di sbattere la porta come sarebbe giusto.
Questo è un Paese con il quale, indipendentemente da ogni cosa e dal suo governo, il nostro è costretto ad avere buoni rapporti anche perché, tra l’altro, contrasta a sua volta quel Califfo che minaccia Roma et San Pietro dalla vicina Libia: costrizione che è anche il ricorrente iniquo destino, in parte fabbricato con le proprie mani, ma non è una consolazione, di numerosi Paesi europei nei rapporti medio-orientali.
In tal modo si è costretti a partecipare a lugubri farse dai ripetitivi copioni nelle quali i soli elementi sicuri e costanti sono cumuli di bugie rese ancora più laide, da un lato, dalla sfacciata malafede delle fonti che le formalizzano smentendosi da se stesse nonostante la palese impossibilità fisica della verosimiglianza di quanto affermano e, dall’altro, dalle ultronee proteste di trasparenza e di disponibilità a collaborare delle fonti medesime che, già nel contesto, appaiono prive della minima serietà.
Quindi sarebbe preferibile non stare (o far finta di stare) nemmeno a questo tavolo truccato: per ragion di stato non si può sbattere la porta, come si vorrebbe o dovrebbe, ma basta così.
Gli USA hanno impiegato quindici giorni, dall’incidente stradale trasformatosi progressivamente in azione di polizia segreta, per appoggiare la diplomazia italiana e questo induce a pensare che si siano, nel frattempo, prudentemente (come è giusto) informati in considerazione forse anche del fatto che di passi falsi sulla sdrucciolevole scena internazionale la presidenza uscente ne ha fatti qualcuno. Le loro condoglianze, anche perché la cosa non li riguarda, possono essere considerate tali pur nei limiti consentiti dagli usi internazionali e dalle loro ipocrisie.
La famiglia del giovane ricercatore, ed insieme a lei il suo paese tutto, sta invece dando alta prova e lezione di civiltà oltre che di cultura e dignità: la dittatura militare ne è impermeabile, ma la coscienza degli uomini no.
Mai lo si vorrebbe in tali tragici frangenti, ma questo nostro Paese -che meriterebbe miglior fortuna- ha ancora cittadini i quali anche a fronte delle disgrazie più grandi mandano luce verso gli altri.