APOCRIFA: Brexit
Nel tunnel viscido di una crisi economica e di idee giunta a livelli tragici, sebbene non uguali per tutti i partecipanti, e in assenza di soggetti politici con qualche statura di statista in grado di orientare le difficoltà reali verso una attendibile sebbene non immediata opera di ricostruzione, è sembrato giustamente a diversi osservatori che il referendum Brexit avesse qualche punto di contatto con, ad esempio, una domanda rivolta al popolo circa il suo orientamento a pagare meno tasse.
L’Europa unita è ai suoi livelli minimi storici, allo stato spiaggiata nonostante la guerra dell’Isis per la quale si spendono troppe parole obbligate continuando a cercare di prendere il serpente dalla coda anziché dalla testa, la moneta unica è stata vista come una leva commerciale per promuovere ed ingrandire un grande mercato al quale sono stati fatti accedere altri soggetti con una certa qual fretta, indipendentemente dall’orientamento degli stessi a condividere le ideologie portanti dei padri europei, nell’ambito delle quali la moneta unica è una parte importante, ma non certo il tutto, la burocrazia europea ha riempito, secondo una regola fra le più antiche del mondo, i vuoti lasciatile a disposizione da una politica reciprocamente ed inutilmente rissosa in quanto governata da soggetti detentori bensì di potere effettivo a livello delle rispettive organizzazioni statuali, ma non di visioni da statisti.
In una Europa ai minimi storici, quindi, con un futuro ancora da costruire delegato di fatto ad una burocrazia che anche là dove fosse la migliore e più efficiente dei mondi possibili non ha né potrebbe avere, per definizione, questo compito, la spaccatura drammatica che si è realizzata nel Regno Unito potrebbe reiterarsi anche altrove, sotto la spinta, da un lato, della debolezza dei rispettivi governi in carica e della loro stupefacente incapacità a fornire risposte attendibili ai bisogni ed ai timori delle popolazioni in agitazione e, dall’altro, delle formazioni e dei movimenti (per lo più di estrema destra, ma non solo: vedansi da noi i Cinque Stelle) che proprio su questa incapacità fanno efficacemente leva per dimostrare la necessità di una transizione verso lidi che, al di là delle troppe ed assordanti parole, non hanno evidentemente chiari nemmeno loro. Peraltro secondo la norma che urlare, specialmente quando la gente non ne può più, vale in termini di raccolta di voti ben più di ragionare tenendo conto delle difficoltà reali.
Ora che gli Inglesi hanno dato una loro risposta, probabilmente segnata anche dalla contingenza, come peraltro in ogni periodo storico, i movimenti anti-europei esultano additando uno scenario nel passato già visto e che, a mente fredda, probabilmente anche una buona parte di chi ha votato per exit è ben lontano dall’augurarsi di rivedere.
Facciamo pure l’esercizio e immaginiamo l’Europa governata da questi movimenti, ciascun Paese con il primo ministro impersonato dal condottiero attuale del rispettivo movimento (e, in Italia, con i duumviri: uno della Lega e uno dei 5Stelle): sarebbe un passo avanti o due o tre indietro? Come e soprattutto quanto andrebbero d’accordo queste culture politiche prima di ri-cominciare a ringhiare ed a mettersi le mani addosso a vicenda? Quali prospettive di iniziare a risolvere qualche problema vero per le rispettive popolazioni?
Pesanti responsabilità, in prospettiva sia politica sia sociale, competono a diversi governi in carica che per debolezza interna, arroganza e mancanza di idee passano più tempo a contrastarsi senza una strategia costruttiva che a cercare soluzioni accettabili ed a cooperare per risolvere qualcosa: e queste responsabilità i cittadini dovrebbero caricarle nei ricorrenti appuntamenti elettorali, cercando di ricordare a tempo debito le dichiarazioni e le promesse bugiarde.
E la situazione non si risolve certo cancellando gli inizi europei, ma piuttosto chiedendo con forza e pretendendo che in Europa vadano in rappresentanza persone valide a lavorare su di un progetto allo stesso tempo storicamente irreversibile e, allo stato, drammaticamente debole per mancanza di ideale condiviso cui informare le prassi.
Schuman, Monnet, De Gasperi, Adenauer non hanno, sfortunatamente, epigoni in grado di ‘vedere’, ma in attesa che uno statista torni ad essere può essere utile continuare a lavorare nell’orientamento segnato, cercando i contatti piuttosto che i contrasti.
La prova che l’exit è opzione esistente ed è un pericolo per l’Europa vera, cioè per il nucleo storico di base (se qualche altro marginale Paese frettolosamente imbarcato per motivi unicamente commerciali seguisse l’esempio britannico, forse questo aiuterebbe i fondatori a ritrovare un po’ dello spirito necessario all’impresa), potrebbe (a prescindere dal caso inglese che aveva caratteristiche un po’ particolari di adesione e che molto probabilmente troverà nel medio termine i necessari accomodamenti sostitutivi) -confidiamo- indurre anche i capponi a smetterla di beccarsi mentre sono portati allo (stesso) mercato.
Luca Pedrotti Dell’Acqua