APOCRIFA: Chi entra
Il tema dell’immigrazione, indotta dallo stato di guerra e dalle condizioni economiche in genere di larghe zone critiche del Medio Oriente e dell’Africa, è difficile da analizzare anche perché, da un lato, comporta obiettive complessità di vario tipo mentre, dall’altro, si presta a semplificazioni arbitrarie ed ideologiche.
Nella sostanza, cioè alla radice delle cause, i fenomeni migratori ci sono sempre stati, fino dall’antichità, ed hanno in vario modo accompagnato l’evolversi della civilizzazione e dell’economia umana su scala globale ancor quando la globalizzazione come oggi intesa era là da venire.
Ci sono Paesi come gli USA e l’Australia, solo per fare esempi macroscopici, che nella e dalla migrazione hanno avuto la loro genesi storica e non sempre questo è stato, tanto per capirsi, un fenomeno di qualità: il bisogno scaccia le fasce più basse e sfortunate, mentre la guerra scaccia anche soggetti con maggiore scolarità e cultura.
Né la migrazione è un fenomeno indolore o privo di violenze e di ingiustizie come è dimostrato dalle esperienze, ancora disponibili nella memoria di molti di noi, lasciate in un passato non certo remoto da tanti nostri compaesani, al Nord come al Sud. Il discorso si potrebbe allargare, considerata la sua vastità, ma è già sufficiente tenerne presenti le linee generali.
E’ importante tenere presente come il fenomeno non sia legato ad una contingenza, sebbene venga più facilmente alla ribalta dei media in corrispondenza di picchi connessi a determinati eventi, di norma critici o tragici, o ad appuntamenti di ordine politico come le elezioni, ma ad uno scenario che, se va bene, si misurerà in molti anni a venire e di certo al di fuori della vita di molti. Con un conseguente lascito verso figli e nipoti che ne sono destinatari d’obbligo.
C’è del vero, ovviamente, nella recentissima radicalizzazione mediatica a proposito delle elezioni presidenziali in Austria che hanno finito per lasciare un Paese praticamente diviso in due, nella specie, in rapporto ad una politica ancora da individuare nei confronti di una emergenza che finirà con il misurarsi, a maggior ragione, su un periodo ben più lungo della scadenza del mandato per chi ha vinto.
Perché il fenomeno migratorio, subito a valle delle considerazioni etiche che peraltro non sono generalizzate come taluni sembrano pensare, anzitutto deve fare i conti con l’apprestamento di schemi realistici di sostenibilità politica, sociale ed economica. Ed è proprio la mancanza di questi schemi da parte dei governi responsabili (loro malgrado) del trattamento corretto (o più corretto possibile) di queste problematiche che dà spazio e voce al populismo apocalittico il quale, però, non è magico nella raccolta dei suoi risultati, ma intercetta ancorché in modo rozzo e sovente becero (vedasi il quasi candidato repubblicano negli USA, subito omaggiato anche da formazioni politiche nostrane) timori ed insicurezze del tutto fondate, in assenza di misure efficaci, che serpeggiano fra la popolazione.
E negli schemi di accoglienza un peso significativo è in capo alla coscienza civica media della popolazione che la medesima che è chiamata a trasferire ai nuovi venuti, nei fatti concreti (esempi). Cioè la cultura minima idonea a portarli, ovviamente nel tempo che occorre, all’integrazione in termini quantomeno di accettabilità reciproca. Diversamente si pongono solo le basi per far sorgere, ed a breve, altri e più gravi problemi tenendo conto che oggi lo spazio a disposizione pro-capite (intendendosi questo non solo in termini di meri metri quadri, ma anche di potenzialità economiche del sistema e della sua capacità di limitata espansione) è obiettivamente inferiore, per chiunque, rispetto ad un tempo nemmeno troppo lontano.
Ecco perché, ad esempio, è pura follia (politica ed amministrativa, oltre che civica) permettere al sistema di accoglienza italico di mantenere i richiedenti asilo nelle condizioni descritte, senza che siano seguite smentite, da alcune recenti indagini giornalistiche che hanno pubblicato notizie choc: mesi e mesi di completa inattività, in alberghi affittati per la bisogna, senza neppure collaborare a tenere in ordine la camera, senza apprendere, per quanto possibile, la lingua e qualche rudimento di mestiere, ma a contatto con avvocati locali che prolungano i termini giostrando anche con i ritardi dei giudici. Nel frattempo (lungo): assistenzialismo senza ritorno e corrispondente biglietto d’ingresso per spostati a vita che aumenteranno verosimilmente i problemi di un Paese che certo non ne avrebbe bisogno, nelle condizioni in cui si trova e dalle quali non riesce ad uscire, oltre a dare facile (e sotto questo punto di vista non privo di fondamento) fiato alle trombe del populismo.
Mentre non sono pochi i cittadini che, sul lavoro, hanno già fatto (positiva) esperienza di immigrati non certo antichi i quali si sono già stabiliti nel Paese e collaborano correttamente al comune impegno quotidiano: con questo dimostrando che il progresso, anche in questo scivoloso campo troppe volte reso ambiguo dalla malafede, è viceversa possibile ed utile. In particolare in un Paese che si avvia a diventare uno dei più vecchi in assoluto a livello mondiale.
Luca Pedrotti Dell’Acqua