APOCRIFA: Il manifesto del furbo
Il ‘manifesto del ladro’, pubblicato sullo scorso numero, ha fatto sorridere a denti stretti qualche pensoso lettore che vi ha scorto, in filigrana, un profilo di sempre continua attualità, valido da ben prima di Mani pulite e, a maggior ragione, anche dopo.
Quella del ladrocinio è certo una professione, non forse una delle tante -come tendono a sostenere i più diretti interessati- e c’è chi vi è portato meglio e più di altri, ma prima (almeno un minuto prima) di essere ladri la piattaforma operativa del singolo è quella etica o morale, in rapporto a ciascun cittadino.
Una prima considerazione non è di poco conto: noi veniamo da una civilizzazione che già ai tempi del Digesto di Giustiniano (VI secolo d. C.) riteneva lecito che i contraenti cercassero di mettersi nel sacco a vicenda (Libro IV: è lecito ai contraenti circonvenirsi a vicenda): in altre e più dimesse parole, la nascita della furbizia e della furbastreria per legge. Ed ora, dopo molti secoli di puntuale e generalizzato esercizio, ci troviamo a osservare e confrontarci con una deriva sociale probabilmente più allargata e generalizzata rispetto ad altri analoghi fenomeni.
Lungi dal volersi associare ai facili e un po’ sempliciotti laudatori dei tempi passati (il fatto che ognuno, nel proprio tempo, si sia sempre espresso in termini più positivi rispetto a chi lo precedeva piuttosto che ai suoi contemporanei è indizio che il problema è sempre esistito) si osserva piuttosto che, in questa contingente epoca storica caratterizzata da debolezze o criticità anche di altra natura, la deriva etica o morale della società aggrava, per quello che ci concerne e ha poca rilevanza un confronto con il passato, il già precario stato di salute dell’ordine democratico.
Se il cittadino è e si comporta da furbastro, e questo non interessa nessuno a cominciare dalla scuola ove infatti è stata bandita anche l’educazione a cominciare da quella civica di base, e se il politico, prima di essere tale è comunque anch’esso un comune cittadino coi i suoi pregi e difetti, ecco che il brulicare di politici furbastri mette a repentaglio prima ancora del suo corretto funzionamento la esistenza stessa della democrazia la quale, salvo forse che in piccole realtà, altro non riesce ad essere se non rappresentativa.
Rappresentativa con regole chiare e trasparenti a priori, oltre che con procedure di rimedio o contenimento in caso di infrazione alle regole.
Quello che asfissia progressivamente la civile convivenza è il sostanziale vuoto democratico a sua volta progressivamente trasformatosi in una infinita sequela di dissidi e lotte tribali, in fatti unicamente soggettivi (il soggettivismo esiste ovviamente in ogni prospettiva politica: ma molto dipende dalla presenza o meno anche dalle capacità di realizzare obiettivi collettivi apprezzabili).
L’asserzione che “tutti i politici essendo ladri la politica è ladra ed il sistema deve quindi essere modificato” è, all’evidenza, demagogico nel senso più diretto del termine, ma fa presa comprensibilmente su di una gran parte della cittadinanza che vive già da tempo nella crisi di ieri e nella paura del domani ed è sfiduciata dalla mancanza di risposte da parte di chi si è fatto eleggere per governare, vale a dire (fra l’altro) proprio per dare risposte. E che invece di governare bada alle proprie liti da cortile tenendo fermo il resto, là dove stare fermi è comunque negativo e sostanziale arretramento. I progressisti nei programmi a parole scivolano all’indietro nei fatti incompiuti.
Nel frattempo i tre poteri fondamentali dello stato democratico si disassano e l’organismo zoppica vistosamente, con il paradosso che mentre le inadempienze e le incapacità e l’immoralità della politica, compreso il suo imbastardimento con gli affari, sono sulla bocca di tutti, il fatto che molti processi civili registrino durate incompatibili con la realizzazione, comunque sempre perfettibile, della giustizia e che molti processi penali seguano analoga sorte rimane per lo più nell’ambito delle stagionali relazioni giudiziarie.
In compenso si guarda con ansia o soddisfazione, dipende ovviamente dai punti di vista caso per caso, alla magistratura nella speranza che provveda essa ad eliminare l’avversario politico che non si riesce a battere democraticamente.
La cultura – perché anche questa, seppure sovente volgare, è cultura – dell’anti-politica, termine improprio quant’altri mai dato che è ‘politica’ sempre e comunque, si mescola ad istanze sostanzialmente illiberali e antidemocratiche che vagheggiano scenari allo stato inesistenti né verosimilmente immaginabili se non dopo avere recuperato una sufficiente e condivisa etica o moralità privata e sociale, oltre che senso del limite (a cominciare con qualche attenzione in più rispetto alla furbizia o furbastreria utilizzata come passaporto per ogni destinazione) e del dovere almeno come irrinunciabile faccia del diritto.
Luca Pedrotti Dell’Acqua