APOCRIFA: Il rumore delle parole
Recentemente un lettore domandava ad un noto giornalista la ragione per la quale i giornali pubblicano le notizie, ma poi quasi mai danno seguito tenendo al corrente i lettori dei successivi sviluppi.
La risposta, in sostanza, è stata che: lo spazio è poco, le notizie sono molte ogni giorno e, non ultimo, i lettori cercano sempre cose nuove.
Che questa logica faccia acqua, tanto o poco, oppure no dipende in effetti da come si interpreta il servizio giornalistico considerato comunque il fatto che lo schema descritto è obiettivamente ed ampiamente realizzato.
La limitatezza dello spazio è, forse, il meno e comunque condizione relativa se sovente ci si imbatte in intere mezze pagine le quali -nulla aggiungendo- sembrano state messe lì per riempire, appunto, gli spazi. Le notizie certamente sono numerose, data anche la facilità della loro raccolta, ma potrebbero forse essere maggiormente selezionare in rapporto al contenuto: se la cronaca spinge a far menzione di tutto quanto si sa stia accadendo, per qualcosa possono bastare due righe.
La domanda dei lettori è, segnatamente, la preoccupazione più importante considerato che il giornalismo è impresa economica che deve potersi sostenere sul piano economico, cioè vendere il suo prodotto. Le critiche vicissitudini dei giornali di partito insegnano.
E su questo tema, certamente strategico, dovrebbe forse misurarsi di più la diversità, peraltro del tutto legittima, di come un giornale è impostato rispetto agli altri e dello stile (e serietà) con il quale fa informazione.
Poiché dare notizie a macchina e non seguirle, particolarmente in certe tematiche quali la politica e la giustizia, costituisce quella condizione tutt’altro che utile denominata anche effetto annuncio: poco utile ed anzi deviante e disinformativa poiché lascia nella memoria, debole o confusa in quanto già ampiamente frastornata dal rumore del continuo cicaleccio circostante, notizie che tendono a corrispondere più alle parole che ai fatti.
In tale modo il lettore normale, che legge per sapere qualcosa circa un determinato oggetto di cui esperto non è -poiché diversamente già saprebbe e nemmeno andrebbe a leggere il giornale, per definizione giornaliero anche nel senso di non particolarmente approfondito o esaustivo, tale non essendo la sua vocazione- rimane fatalmente in una via di mezzo che non aiutandolo nella conoscenza dei fatti nemmeno promuove una più matura coscienza civica che avrebbe pratici sviluppi nel farsi idee più precise di quanti gli stanno intorno e lo tempestano di rumore interessato.
Questo si osserva, in particolare, nello sviluppo della politica e della giustizia ove l’effetto annuncio, privilegiando l’aspetto formale, giunge a vulnerare perfino la ragione stessa della informazione indipendente, che è di far conoscere, almeno un po’, quanto i diretti interessati per una ragione o per l’altra non hanno interesse a che sia reso noto.
Le parole generano le parole ed esse, tutte insieme, sia a voce sia scritte, un assordante rumore di fondo che non consente, se non con molta difficoltà, la ricerca e l’analisi dei fatti.
La politica ci va a nozze e non per nulla su ogni argomento c’è sempre chi sostiene il contrario: non sulla opinione, che è fisiologico, ma sul fatto. In quanto è soprattutto il fatto, ammesso che ci sia, a non essere noto se non, troppo spesso, per il tramite della sua semplice enunciazione.
Nella giustizia le conseguenze sono ancora più devianti poiché incidono indelebilmente sull’integrità pubblica e privata della persona distribuendo anche visibilità positiva e meriti gratuiti a chi poi, nel prosieguo, appare come non meritevole e visibilità negativa e danni irrisarcibili a chi avrebbe avuto diritto a diverso rispetto. Come termini la vicenda giudiziaria sulla quale sono state accese le luci dei fuochi d’artificio è appannaggio, quando va bene, di una notizia seminata da qualche parte.
Luca Pedrotti Dell’Acqua