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APOCRIFA – Sussurri e schiamazzi

Il rapporto della creatura umana con l’età (sua, per lo più, ma non solo) è quanto di più relativo, oltre che ambiguo, si possa immaginare.
Poiché l’età si specchia necessariamente nel tempo che, neppure tanto banalmente, è una delle dimensioni con le quali, allo stato, sembra funzionare la nostra conoscenza: lo spazio, descritto nelle sue tre dimensioni (altezza, larghezza, profondità) e, appunto il tempo.

Sul quale a livello filosofico e teologico da secoli si sono diretti gli strali della speculazione razionale, fino a metterne in dubbio l’effettiva esistenza, che ora sono concretamente sostenuti anche dalla fisica: dall’osservazione, ad esempio, di Agostino (Il tempo non esiste, è solo una dimensione dell’anima. Il passato non esiste in quanto non è più, il futuro non esiste in quanto deve ancora essere e il presente è solo un istante inconsistente di separazione tra passato e futuro) a quelle degli scienziati (non tutti) i quali, negandone l’esistenza in quanto tale, pervengono a formulare per il tempo l’ipotesi di illusione e quindi, a fronte del fatto, empiricamente osservabile, che la struttura psico-fisica dell’uomo appare comunque mutevole in rapporto agli anni, di convenzione (è lo spazio che appare muoversi, mentre il tempo sarebbe la convenzione da dare alla percezione del movimento dello spazio).

Diciamo che il peccato originale sia dell’età sia del tempo è, comunque la si veda, il loro ineliminabile custodire racchiuso il seme della morte.

Tuttavia, stando quantomeno al semplice (si fa per dire) fenomeno empirico (e lasciando, al momento, gli approfondimenti noumenici) che sconsiglia, in conformità al senso comune per quanto poco o punto valore reale questo abbia a fronte della scienza, di negare l’esistenza di quantomeno apparenti diversità fra, e. g., un organismo di (apparenti) 30 anni e un altro di (apparenti) 90, entriamo pure in punta di piedi in questo campo minato.

E prendiamo atto, almeno con spirito di curiosità, che il recente Congresso nazionale (63°) della S.I.G.G. (Società Italiana di Gerontologia e Geriatria) ha condotto a stimare anziano l’organismo oltre i 75 anni. La statistica, da prendere con le molle rispetto al singolo caso, ma valida a livello di media, calcola la longevità femminile in 85 anni e quella maschile in poco meno (82-83) e chiunque sia abbastanza maturo per avere memoria, all’incirca, della prima metà del secolo XX ricorderà, per esperienza diretta o indiretta, che nelle famiglie c’erano, di solito, più nonne che nonni e che questi ultimi difficilmente riuscivano a vedere i nipoti.

Ora, a fronte dell’innalzamento dei margini della vita, si adottano non più definizioni rigide, ma dinamiche allo scopo di meglio descrivere una obiettiva situazione media indotta da condizioni demografiche ed epidemiologiche mutate e diverse in positivo rispetto al passato.

Frutto di un modo, e connesse condizioni, di vivere più curato, attento, consapevole e supportato da migliori mezzi fra i quali primeggiano le scienze mediche (disponibilità di vaccini comprese).

Il lato positivo della medaglia vale, ovviamente, per coloro che stanno bene laddove quell’altro, il lato negativo, che comunque esiste sempre anche se per fortuna non in misura paritaria, deve per forza considerare anche le penose situazioni di inabilità o menomazione che l’attuale avanzata fase di conoscenze scientifiche è in grado di procrastinare (anche, si capisce, contro il volere o l’aspettativa degli interessati) a differenza dei più spicci tempi andati.

Che ci siano scenari diversi, già a livello di poche manciate di anni di differenza, emerge lampante dalle scintillanti pubblicità para-farmaceutiche che addobbano le vetrine delle farmacie, delle fermate dei mezzi pubblici e dei taxi: i poster a grandezza naturale con modelle e pin up le quali suggerivano più o meno maliziosamente l’uso di numerosi prodotti cosmetici, dei quali peraltro esse non avevano, all’evidenza, necessità alcuna, hanno lasciato il passo ad altri con più mature, ma sempre piacenti e sfavillanti, signore dall’età invero non facilmente definibile che, anche protette da possibili e saggi ritocchi informatici sulle immagini, non sembrano per nulla preoccupate a nascondere gli anni, ma esserne tranquille e fiere date le condizioni che sono in grado di offrire nelle belle fotografie (onde fermiamo l’età, un’altra vita inizia ora etc).

Che poi i cosmetici siano invero l’ultima ruota, sebbene la più semplice da reperire, del carro della bellezza e della freschezza (dopo modo di vivere, alimentazione, igiene etc) non è, a questi fini, rilevante.

Il rapporto della creatura con la sua età e il tempo, qualsiasi significato si intenda dare o non dare a questi altalenanti termini, è quindi, in sostanza, un grande, grandissimo dipende cui non sfugge, tra l’altro, né mai potrebbe, l’apporto del cuore -fisico o metafisico e religioso- del singolo essere il quale può orientarsi fra l’opzione di credere di terminare in una manciata di atomi che in qualche modo ritorneranno a precipitare da qualche parte oppure di trascendere a una vita differente caratterizzata (questa sì, certamente) dall’inutilità del tempo: l’eterno è infatti concetto vertiginoso fra i più impossibili da immaginare avendo i piedi sulla terra ove tutto scorre e di eterno non c’è niente.

Onde abbiamo una grande varietà di combinazioni di risposta: dal sommamente ridicolo di coloro che passano da un chirurgo estetico a un altro nel tentativo di fermare il tempo (esercizio per cui a suo tempo anche il dottor Faust incontrò imprevisti problemi) al sommamente saggio sintetizzato, ad esempio, in un breve frase di Marcello Comel che, a fronte dell’iscrizione Vulnerant omnes, ultima necat (tipica di numerose meridiane e torri campanarie), ebbe ad annotare: …l’uomo, con la sua volontà e il suo spirito, può scegliere se avere l’età delle sue arterie o, come il poeta, avere l’età delle sue poesie, come il pittore quella dei suoi quadri, come il musicista quella delle sue melodie.

Va da sé che la nota poggia, tutta, su di un unico perno d’acciaio: la possibilità di scegliere cui sono fondamenta l’essere, almeno quanto basta, compos sui o mentis e un minimo di accettabile salute.

Traguardo peraltro non sempre facile da realizzare, al di là delle medie, nell’obiettivo di aggiungere vita agli anni e non anni alla vita (proposito insano sopra ogni altro) solo che si scorrano i molteplici (e minacciosi) titoli degli interventi e delle comunicazioni al sopra citato Congresso della S.I.G.G.

Esistendo comunque questo perno possiamo allora lasciare dire a Marc Augé, antropologo, che la vecchiaia non esiste (ci ha impiegato un libro per affermarlo: Il tempo senza età, 2014) in quanto al di là del logoramento del corpo (per cui poco ben rilevano le sottili distinzioni fra tempo ed età) rimane pur sempre -e al riparo dalle ingiurie del tempo- la soggettività (analoga un po’ allo scegliere di Comel) in grazia alla quale si muore giovani.

Quindi, giovani o vecchi, ecco che il seme custodito dal tempo e dall’età, la morte, si schiude per tutti e non ci sono libri che riescano a dire meglio -per i non credenti- di Epicuro (Lettera a Meneceo) o -per i credenti- del Vangelo.

LMPD

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