Libertà difficile
DIALOGANDO, n. 67, gennaio 2015 – Il differente contenuto che si attribuisce al concetto di libertà da parte delle principali civilizzazioni nella loro attuale forma, differente al punto da usare lo stesso termine per significare situazioni praticamente opposte, è diretta conseguenza delle rispettive evoluzioni culturali.
Di per sé, che ad una parola siano attribuibili contenuti in reciproco conflitto non è impossibile: basti ricordare come venivano utilizzati democrazia e democratico dentro e fuori la Cortina di ferro e, solo per non andare lontano, in Italia.
Qualcuno ha detto che l’Islam si riferisce ad un libro rimasto fermo a quattordici secoli or sono, ma i libri del Cristianesimo e, più ancora, del Giudaismo sono più antichi ancora: i libri sono fermi per forza: quello che cambia (può cambiare) è il rapporto dell’essere umano verso il (medesimo) libro, il suo modo di leggerlo e, trattandosi di scrittura sacra, di interpretarlo in chiave di orientamento spirituale con le varie conseguenze (anche da noi c’è chi crede alla lettera nella creazione così come descritta nel Genesi).
In determinate civilizzazioni, come l’occidentale, ci sono state evoluzioni macroscopiche e drammatiche del pensiero che hanno indotto a lasciare l’originale schema cosmico nella sua immobile, rassicurante, semplice chiarezza derivante il tutto (religione, politica, società, privato) dall’alto: con Copernico, Galilei, Keplero e Newton inizia la scienza come percorso autonomo rispetto alla religione (o meglio: a quello che per lo più si considera religione) e il percorso non è ancora terminato. Anzi. D’altra parte la prima indicazione di libertà rivolta al singolo in quanto creatura unica e non componente di un aggregato sociale è proprio nella predicazione e, implicitamente, nella filosofia di Gesù.
La crisi del geocentrismo e la sua ripercussione sui principi condivisi che ne derivavano (ordini gerarchici, fede, morale, comportamenti etc) ha aperto una strada invero sconosciuta e di molti rivoli verso la libertà la quale è condizione (per la creatura umana) fra le più prossime al divino e di amplissima latitudine.
E pertanto comprensiva del bene e del suo opposto come anche della responsabilità, della necessità di scelta e del suo mal uso fino all’abominio. Al punto che c’è chi sostiene di esserne stanco oltre che usurato e disponibile a barattarla.
Il discorso peraltro è di attualità già fin da Fedro (Fabulae aesopiae e siamo nel I d. C.) con il colloquio fra il lupo e il cane.
Tutto questo non c’è, viceversa, nelle teocrazie che, nella fase storica attuale, sono di stampo coranico.
Anzi, se ricordiamo, già ancora quando era esule a Parigi, peraltro nella grande considerazione di buona parte degli intellettuali di allora, colui che sarebbe divenuto nel 1979 il capo della repubblica islamica dell’Iran non nascondeva affatto né le sue idee né i suoi propositi di comportamenti politici et organizzativi. Gli occidentali, adusi ai propri politici che invero sono molto più ambigui, gli prestavano fede fino ad un certo punto, ma poi furono costretti a ricredersi in fretta.
Poiché questi stati di stampo teocratico (rectius: clericale, sia sciita sia sunnita) si reggono sull’Islam e questo s’informano, il rapporto con l’Occidente si tinge per forza di religione anche se in modo sbilanciato, giacché la considerazione religiosa non c’è dal lato occidentale (vale a dire manca da questo lato ed è confusa o superficiale per quanto riguarda la controparte).
Ma di questa cultura e di questo modo di essere, da noi molto lungi fino all’incomprensione per gli sconfinamenti nel fanatismo e nell’idolatria, bisogna invece tenere conto senza tuttavia dimenticare né pretermettere le nostre poiché diversamente non rapporto sarebbe -e tantomeno paritario come necessita- ma solo casualità. Ammantata di troppe parole, ma pur sempre casualità.