EDITORIALE
Nello svolgersi delle vicende politico-sociali lungo il corso della storia ci sono periodi che, più di altri, rendono chiari e visibili a chiunque li voglia osservare, con sguardo preferibilmente libero da pregiudizi di parte, i contenuti di fatto di quella costante che è la responsabilità politica dei soggetti in posizione di governo.
Vale a dire le conseguenze, sfortunatamente durevoli nel tempo e variamente (e reciprocamente) causali, i. e. produttrici di effetti a catena, delle scelte operate da persone che gestiscono il potere comunque pro tempore, vuoi a motivo dell’organizzazione statuale-governativa in sé (come nei nostri Paesi occidentali), vuoi a motivo della durata fisica della vita che limita in ogni caso, sebbene ad insufficienza, la capacità d’agire anche del tiranno più stabile.
Laddove l’impressione più diffusa che trapela dalle considerazioni (senza nemmeno considerarle analisi) applicate all’agire politico dei più lascia intendere che troppe scelte abbiano una matrice strettamente dipendente anzitutto dai propri interessi strategici personali e quindi legata a quelli della propria parte (nel senso più stretto e volgare del termine), mentre l’interesse collettivo pubblico che è l’altra faccia della medaglia del servizio, rimane -se c’è- confinato in una sorta di miraggio utile -quando va bene- alla comunicazione ed agli effetti ‘annuncio’ che sono la gramigna dei rapporti, delle relazioni e delle interconnessioni.
Il dimissionario, ahinoi troppo tardi, primo ministro britannico ha cercato di puntellare le proprie traballanti fortune politiche, all’interno prima di tutto del proprio partito, inventandosi un referendum che gli è evidentemente sfuggito di mano ed ha contemporaneamente dato una formidabile occasione di insperato successo ad un nazionalismo tanto rozzo quanto antistorico. Ma non per questo meno pericoloso.
Coloro i quali hanno destabilizzato Iraq e Libia, tanto per dirne due e senza dimenticare la guerra attuale condotta dall’Isis, raccontando al mondo reiterate e pubbliche bugie e con ben poco riguardo circa quanto avrebbe potuto avvenire dopo (arroganza ed ignoranza nel potere politico sono una droga che purtroppo nessuno può controllare, altro che il doping che ha distrutto lo sport): il figlio di uno di questi ha provato perfino a ritornare alla presidenza del proprio Paese, un altro gira il mondo a tenere importanti conferenze ed un altro ancora sta preparandosi, a sua volta, a tornare alla ribalta…
Viene in mente quel vecchio detto (senza ingiuria, beninteso, per gli insegnanti veri) velato ai più: chi sa fare, fa; chi non sa fare, insegna.
La responsabilità politica non dà adito ad alcuna forma di risarcimento verso i popoli che sono (poi) costretti ad assorbire sulla loro pelle le scelte dei (loro) potenti e viene giudicata unicamente dal tribunale della storia: un po’ poco e un po’ (tanto) troppo tardi.
Bisognerebbe riuscire a pensarci prima di votarli e confidare che i candidati avessero quantomeno a che fare con un serio controllo psichiatrico e psico-attitudinale -ad opera di un’autorità indipendente terza preferibilmente extra-terrestre- sia iniziale sia di mantenimento, in corso d’opera.