EDITORIALE: Le vicende della curia vaticana
I semplici assistono, per quanto loro riesce dato che la comunicazione è quella che è, alle vicende della Curia vaticana con le perplessità verosimilmente derivanti da un errore in cui si incappa naturaliter: ritenere che i rapporti fra sacerdoti siano privilegiati rispetto a quelli dei laici comuni ove più facilmente, a differenza dei primi, avrebbe modo di attecchire la gramigna della terra.
Forse non sempre è così neanche nell’unica istituzione ancora esistente il cui monarca riferisce solo e direttamente all’Altissimo e non certo nel modo strumentale in cui, nella storia, i potenti sul trono facevano -o cercavano di fare- derivare ad adiuvandum la loro posizione dal sigillo dell’insindacabile investitura divina.
Gli uomini, indipendentemente dalle rispettive qualifiche e funzioni, hanno tutto lo spazio per avere opinioni e prospettive diverse le quali possono entrare in conflitto e in modo non marginale: e anche la Chiesa come istituzione temporale, ancorché di minime dimensioni, non va esente da questa condizione terrena per intuire la quale si può parafrasare una appropriata considerazione dal don Carlo splendidamente musicata da Giuseppe Verdi….il duolo della terra nel chiostro ancor mi segue anche se il Vaticano tutto è salvo che un chiostro.
E questo duolo, nella sostanza se non nella forma, sembra riflettersi nella motivazione (pare) ufficiale del mancato rinnovo dell’incarico da attribuire alla (nuova) clausola dei cinque anni e non di più oltre per la copertura del medesimo ruolo curiale applicata ex nunc e per la prima volta al germanico Prefetto della Congregazione per la Dottrina. Che dal punto di vista organizzativo potrebbe anche avere senso.
In attesa di rivederla applicatala in occasione delle prossime scadenze quinquennali man mano che altri incarichi, anche meno importanti, matureranno nella rispettiva temporale scadenza e confidando di non intravedere il pontefice smentirsi in analogia con i tanti potenti della terra.
Per combinazione il coro anonimo a bocca chiusa d’Oltre Tevere intona una melodia diversa che viceversa riecheggia differenze ideologiche fra i due soggetti.
E allora?
Quale impedimento ci sarebbe a riconoscere e comunicare ai semplici una diversità ideologica non facilmente sanabile in radice fra un cardinale che ritiene come a un papa pastore la Congregazione per la Dottrina debba dare l’appoggio di una strutturazione teologica (forse anche un po’di controllo) e un papa che ritiene come nel proprio ruolo si concentri e il pastore e il dottore numero uno della Chiesa?
Forse non c’erano fratture drammatiche e ingravescenti fra Colui del quale il pontefice è oggi il vicario in terra e gli autorevoli rappresentanti della dottrina e della legge del tempo, duemila anni or sono?
Le logiche di potere sono presenti ovunque nelle organizzazioni positive degli uomini, in modo indipendente dalle rispettive investiture così come ovunque -quantomeno metaforicamente- con il grano cresce la zizzania del contrasto, ma ci sono luoghi e tempi in cui i semplici forse preferirebbero modalità di gestione diverse da quelle di sempre.