EDITORIALE: Magistratura e politica
I rapporti fra magistratura e politica potrebbero essere oggetto di una legge apposita secondo alcune proposte inoltrate recentemente da parte del Consiglio superiore della magistratura al ministro della Giustizia. Il tema è costituito, come noto, dall’accesso dei giudici alla vita politica e amministrativa del Paese, dalla regolamentazione di questi processi e, in particolare, da quanto succede dopo, al termine dell’incarico, elettivo o meno, ricevuto.
Premesso che il magistrato è un cittadino e che può evidentemente, al pari di ogni altro, compiere tutte le scelte che crede anche per partecipare alla vita pubblica, rimane però il fatto che egli, in quanto magistrato, è anche e soprattutto un cittadino diverso da tutti gli altri in quanto destinatario di una posizione giuridica di specialità cui corrispondono particolari sia diritti sia doveri.
Qui risiede, particolarmente nei doveri specifici, la fiducia dei cittadini nella magistratura.
La tripartizione netta delle funzioni dello Stato moderno (legislativa, esecutiva, giudiziaria) è recente (Montesquieu, 1748) perché ancora in Locke (1660) è teorizzato un potere legislativo al vertice della piramide ed un potere esecutivo subordinato al primo, mentre il potere giudiziario, con il compito di fare rispettare le leggi in modalità uguali per tutti, è un (sebbene importante) di cui.
Parlando in termini attuali sembra logico, oltre che evidente, di come sia necessario (ammesso che si voglia veramente mantenere la reale struttura dello stato moderno liberale peraltro ignoto in molte altre parti del mondo) che i tre poteri siano e rimangano reciprocamente del tutto autonomi e senza interferenze, laddove la possibilità del magistrato di fare politica o amministrazione e poi di ritornare alla propria funzione precedente non è conforme alla ratio della vera separazione dei poteri.
Del magistrato, sia esso giudicante o requirente, non si dovrebbe conoscere, da parte del cittadino, neanche la singola fede, vuoi religiosa vuoi politica, ma unicamente la sua missione di fedele servitore dello Stato, interprete e applicatore delle leggi nell’ambito della Costituzione.
Libero, quindi, egli di scegliere un’altra strada di vita, ma senza innescare potenziali conflitti d’interesse o commistioni di materia che, nell’opinione pubblica, sono comunque percepiti (al di là della rettitudine dei singoli) come altrettante cause suscettibili di vulnerare la certezza dell’autonomia di giudizio sottoposta unicamente alla legge.
Il magistrato è un sacerdote laico cui l’agone politico (quanti danni etici dalla ventennale polemica che ha irresponsabilmente accomunato magistratura e politica) non deve essere accessibile se non a condizione di una scelta diversa.