HomeDialogandoNewsletterApprofondimentoL’APPROFONDIMENTO: La Poesia e la Musica del Cosmo

L’APPROFONDIMENTO: La Poesia e la Musica del Cosmo

Tutto è racchiuso in un “buco nero” che può aprire “buchi bianchi” di nuove percezioni e nuova consapevolezza.
Un universo discontinuo dove sia possibile fare salti da una parte all’altra di esso in tempo reale? Forse non è solo fantasia: anzi, non lo è di sicuro. La nuova fisica ci guida alla scoperta di elementi che vanno ben oltre le nostre percezioni tangibili e che possono condurci in altri mondi di pensiero e verso altri modi di sentire la realtà stessa.
Tutto questo rivela un’immensa poesia e con la poesia è bello lanciare l’immagine finale. Per aprire nuovi universi, soprattutto dentro di noi.

Dopo la visione sugli universi possibili, prospettata nel precedente articolo, si apre ora un discorso più ampio relativo al metodo utilizzato. Un discorso che ci porta al connubio tra realtà soggettiva ed oggettiva, oltre che a capire cosa accade oggi a livello di visione di realtà scientifica.
Il metodo scientifico classico ha una partenza empirica. Vale a dire: dall’esperienza sensoriale si passa poi alla formulazione di una legge.
L’esempio proposto sugli Universi Paralleli ci porta invece a comprendere come, nella fisica moderna, il metodo scientifico sia addirittura ribaltato: come si parta da un’elaborazione astratta per poi giungere ad una successiva individuazione della legge.

Gli esempi, a livello scientifico, possono essere svariati. Tra questi, sicuramente, quello relativo al fisico britannico Paul Dirac.
Dirac, nel 1932, lavorando su un’equazione il cui scopo era unire la Relatività Speciale con la Meccanica Quantistica (obiettivo ancora oggi non del tutto raggiunto, essendo l’una deterministica e l’altra indeterministica) si accorse che risultava un’energia al quadrato: questa ha due soluzioni, una positiva ed una negativa. Trattandosi di un elettrone, ci si aspetterebbe una sola soluzione negativa. Così Dirac intuì che, quindi, oltre ad un elettrone negativo, già noto, dovesse esservene uno positivo.
Era aperta la strada allo studio empirico dell’argomento ed alla ricerca di esperimenti che potessero, in maniera sensoriale, mettere in evidenza queste scoperte. Questo accadde solo quattro anni dopo, nel 1936, quando il fisico statunitense Carl David Andersson, osservando i raggi cosmici, trovò una particella che si comportava come un elettrone, ma che aveva carica elettrica positiva. Questa venne chiamata positrone ed aprì la strada a quella che si può definire “antimateria”.
Abbiamo quindi un interessante esempio di qualcosa che ci è giunto prima su base teorica e solo successivamente su base empirica. Il metodo scientifico, come noi tradizionalmente lo conosciamo, è stato quindi ribaltato.
La fisica ha, oggi, ancora molti elementi non verificati sperimentalmente.
Ad esempio, il cosiddetto Modello Standard che definisce particelle costituenti la materia ed altre che definisce mediatori di forze come strutture base della nostra fisica, considera come mediatori della forza di gravità (una delle quattro forze del Modello Standard) delle particelle dette gravitoni. Queste particelle non sono, allo stato, ancora mai state osservate sperimentalmente e rimangono solo un modello matematico. Tuttavia queste particelle hanno proprietà davvero incredibili e sembra che possano, in sé, superare il continuum spazio – tempo. Sono, quindi, quelle che potrebbero essere responsabili dei cosiddetti “wormholes”, i tunnel spaziali – temporali di cui la nuova fisica tratta in abbondanza. Ma che non sono mai stati osservati in maniera sperimentale: tuttavia sono stati ipotizzati e qualche prova attinente nel nostro universo si trova nei “buchi neri”.

Questo della distorsione spazio – tempo e dei buchi neri sarà l’argomento fondamentale della nostra trattazione.
Chi ha visto il film Interstellar, secondo me bellissimo, ha potuto intuire qualche elemento sulla loro struttura. Si tratta di oggetti, dovuti al collasso di stelle, dove la materia ha una densità elevatissima, a tal punto da curvare la stessa luce. All’interno vi è quella che si definisce singolarità: punti a gravità infinita dove, quindi, le equazioni che descrivono i buchi neri smettono di valere. In questi punti il tempo stesso appare collassare. Nel film si parla proprio di “guardare attraverso un buco nero”. Verso la sua conclusione ci si trova in una condizione in cui il tempo diviene una dimensione fisica e dove viene definito il buco nero stesso come di tipo rotante (questi buchi neri sono stati studiati nel 1963 dal fisico neozelandese Joy Patrick Kerr, noto per avere elaborato la cosiddetta “metrica di Kerr”).

Secondo alcune teorie, considerando verosimilmente il fatto che nulla si crea e nulla si distrugge, un buco nero ha un corrispettivo “buco bianco” in questo o in un universo parallelo. Nella fattispecie bianco significa che si tratta di una struttura del tutto respingente. Infatti, il nero e il bianco non sono colori, ma indicano, rispettivamente, totale assorbimento e totale emissione di colori. Quindi, riferito alla gravità, il buco nero è quell’oggetto da cui nulla può passare perché è un attrattore assoluto. Neppure la luce, che comunque è soggetta alla gravità, può uscire da un buco nero. Mentre un buco bianco è un repulsore totale: un oggetto, quindi, che emette tutto quanto si avvicina alla sua struttura.
Sono proprio questi “estremi” ad aprire nuove prospettive: situazioni “estreme” di gravità possono essere quelle che deformano il continuum spazio – tempo come noi lo conosciamo.
I cosiddetti “wormholes”, tuttavia, sono stati studiati per via teorica diverso tempo prima.
Il primo a costituirne un modello fu il matematico Ludwig Flamm, nel 1916, anche se un modello più preciso fu dato, nel 1921, da Hermann Weil. Ma, in un certo senso, queste strutture sono state definite già in precedenza come possibilità di attraversare universi. Infatti si possono dividere in due categorie: i wormholes “inter universo”, che quindi collegano punti dello stesso universo e wormholes “intra universo”, che collegano punti di universi differenti.
Questi sono detti anche wormholes di Schwarzschild dal nome del fisico Karl Schwarzschild che se ne occupò intuendo l’esistenza di universi paralleli con diversi anni di anticipo sulla prima teoria sull’argomento la quale può essere fatta risalire, come detto nel precedente articolo, a Hugh Everett nel 1957.
L’esistenza di strutture di questo tipo ribalta completamente l’attesa di dati empirici.

Ma il termine con cui sono note queste strutture è “Ponte di Einstein – Rosen”, dai nomi di coloro che li hanno accuratamente studiati, vale a dire Albert Einstein e Nathan Rosen. Il termine, comunque, è stato coniato dal fisico statunitense John Archibald Wheeler nel 1957, lo stesso anno in cui il citato Everett rese nota la sua teoria sugli Universi Paralleli. E forse non è un caso!
Oggi il modello di universi paralleli viene unito alla Teoria delle Stringhe, della quale si cominciò a parlare nel 1965 grazie al fisico Gabriele Veneziano. Questa teoria vede tutte le particelle come ottenute dalla vibrazione di oggetti unidimensionali, detti “Stringhe”, che vibrano sino a 26 dimensioni. Questa sarebbe, quindi, la dimensione dello Spazio – Tempo come noi lo conosciamo.
Notare, qui, che si parla di “vibrazione”.
Il termine ci riporta subito all’analogia con la musica. Ancora una volta, in questa fisica così avanzata l’elemento della vibrazione, che si riconduce quindi al suono, riporta tutto alla frequenza. Non a caso il fisico Vittorio Marchi affermava che “forma è frequenza”. Tutta la realtà, ma anche tutte le forze esistenti in natura, sarebbero quindi originate da vibrazioni di oggetti che, vibrando, darebbero origine a tutto quanto è attorno a noi.

E si torna, quasi come un tuffo in un buco nero possibile, alla spiritualità, a quel suono generatore dell’universo, al Respiro di Brahma dell’Induismo, ma anche a quello Om che tutto genera.
La vibrazione di una stringa, quindi, sarebbe quella Poesia del Cosmo che tutto origina.
Prima di tuffarci nella Poesia, facciamo un “salto” nella Gravità. E in quello che Albert Einstein ci ha detto.

Il tempo, quell’elemento che pare assoluto ed immutabile, è stato da Einstein studiato nella sua Relatività Ristretta già oltre un secolo fa. La teoria, infatti, fu pubblicata nel 1906. Qui, Einstein pone il limite della velocità della luce come limite effettivo. Le equazioni della relatività, infatti, non sono definite e accettabili per velocità superiori a quella della luce. Venne dimostrato anche che la luce ha una caratteristica: quella di essere invariante rispetto a qualsiasi sistema di riferimento. Questo vuol dire, ad esempio, che se ci muoviamo in direzione di un fascio di luce su una navicella che viaggia a 500 km al secondo, la velocità della luce che possiamo misurare non è 300.000 – 500 km / sec, ma ancora 300.000 km /sec. Questa dell’invarianza è davvero un fatto particolare e notevole. E dimostra come la luce sia un mondo a sé, particolare. A tal punto che la sua velocità è una barriera.
Per la fisica moderna, dove lo spazio può assumere più dimensioni e dove vi possono essere discontinuità, la cosa potrebbe non essere più un problema perché è lo spazio stesso che può variare e il tempo può divenire una semplice percezione.

Nella Relatività Ristretta, come dicevo, Einstein mostra che il tempo può variare con la velocità. Cosa che è stata verificata ponendo, ad esempio, un orologio atomico su un aereo Concorde e notando una variazione del tempo, anche se impercettibile, rispetto ad un orologio lasciato a terra.
La Relatività Generale, pubblicata 10 anni dopo, nel 1916, va invece a porre in relazione la gravità con la velocità. Einstein giunse a questa idea con una semplice intuizione, trovandosi su un ascensore. Lo scienziato osservò, immaginando che si fosse in assenza di gravità, come l’effetto che avrebbe percepito in tale condizioni, con il pavimento dell’ascensore che si muoveva verso di lui, sarebbe stato molto simile a quello percepito, invece, con l’ascensore fermo e in presenza di forza di gravità. Questo permise ad Einstein di comprendere come gli effetti della gravità, nella distorsione dello spazio – tempo, siano simili a quelli della velocità. Forse è proprio da questa considerazione che ebbero origine gli studi sulla distorsione spazio – temporale dei buchi neri. Non a caso, come detto in precedenza, Einstein fu uno dei massimi studiosi dei cosiddetti wormholes.

Mi piace concludere questa parte “in poesia”. Nel senso di riprendere l’analogia con la “Poesia del Cosmo” che, in fondo, è un po’ il filo conduttore di tutte queste trattazioni.
La poesia, di per sé, è in grado di superare spazio e tempo, riportando all’emozione che l’ha generata e riducendo le distanze sino a portare in contatto colui che scrive con colui che legge.
Quindi, si tratta di una sorta di wormhole descrittivo, perché pone Universi e Mondi a contatto.
Con questa visione credo che il cosmo assuma davvero poesia e che la poesia possa essere definita, forse, un cosmo in parole o, anche, parole che aprono universi.
Mi piace, con questa immagine, che mostra la grandissima poesia dell’universo, degli universi, lasciarvi a quello che seguirà, quando il discorso potrà divenire sempre più avvincente e interessante: scoprendo, sempre di più, come la realtà che osserviamo sia davvero la “nostra” realtà, e come tutto possa cambiare in un istante, cambiando punto di vista e modo di osservare.

Sergio Ragaini
Matematico e ricercatore, Milano

Approfondimenti:

Sui Wormholes è piuttosto esauriente la trattazione che fa Wikipedia.

Sui buchi neri si può leggere l’articolo su Focus.

Oppure la dispensa a cura del Liceo di Locarno.

In formato pdf si trova anche l’interessante libro di Stephen Hawking “Dal Big Bang ai Buchi Neri”.

Sulle Stringhe, più “tecnica”, ma interessante, è questa dispensa, mentre più divulgativa appare questa altra dispensa.

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