L’APPROFONDIMENTO: L’inconscio in classe
La scuola è un campo traversato da molte tensioni: tra insegnanti e bambini, tra insegnanti e direzione, tra insegnanti e insegnanti, tra insegnanti e genitori, tra genitori e figli. Queste forze possono entrare in contrasto tra loro o possono sommarsi e generare circoli virtuosi. La scommessa di portare l’inconscio in classe è di poter disinnescare i potenziali di conflitto e di intrecciare invece le diverse forze in gioco per metterle a vantaggio di quelli che sono gli obiettivi primari della scuola: educazione, formazione, creazione di capacità di apprendimento, trasmissione di sapere.
Quali sono gli ostacoli che incontra uno psicoanalista chiamato a regolare questo campo di forze?
Innanzi tutto la scuola contemporanea non è più quel luogo disciplinare che ancora era la scuola italiana del secondo dopoguerra. La scuola soffre dell’indebolimento istituzionale di cui soffrono tutte le istituzioni del mondo occidentale, da quelle macroscopiche, come le grandi organizzazioni internazionali, fino a quelle costituite di pochi individui, come la famiglia.
Il declino delle tradizionali figure d’autorità è un fenomeno che investe tutti i campi, dalla politica, alla cultura. La unica autorità oggi vigente, come aveva profetizzato Guy Debord già negli anni Sessanta, è forse solo quella spettacolare, in un momento in cui la televisione ieri, e oggi internet, prendono il posto dell’autorità genitoriale, che stenta a proporsi come riferimento guida.
L’effetto che di questa situazione si nota nella scuola è quello, crescente, dei cosiddetti bambini senza freni. La maggior parte delle richieste d’intervento, nei vent’anni in cui ho fatto consulenza come psicanalista nella scuola elementare, è stato relativo alle difficoltà che gli insegnanti incontravano e incontrano nel gestire bambini che non hanno interiorizzato i necessari freni superegoici, in grado di garantire una ragionevole interazione con gli altri, di moderare le pulsioni aggressive e le spinte al soddisfacimento immediato.
Il problema naturalmente non è di tornare ai vecchi tempi del regime disciplinare.
Le soluzioni regressive, talvolta invocate, non solo non sono praticabili, ma non sono neppure auspicabili. Occorre piuttosto ripensare radicalmente il regime dell’autorità.
Dal punto di vista sociale l’autorità è ciò che tiene insieme e fa funzionare le cose. Quando questa manca, ci si rivolge alla sola autorità che l’opinione mediatica ritiene oggi credibile: quella della scienza.
L’efficacia, prerogativa del discorso scientifico, viene così chiamata a surrogare l’autorità. Questo porta a un cortocircuito e a una burocratizzazione dei rapporti sociali. Dominano allora le linee guida, le procedure, le filiere anonime in cui nessuno è più responsabile in ultima istanza.
La sostituzione del principio d’efficacia a quello d’autorità porta a una retrocessione della responsabilità. Nessuno è più responsabile.
Per ricostruire un’autorità in un modo diverso che non quello disciplinare occorre dunque ripensare la funzione della responsabilità, ridarle spazio. L’autorità tradizionale si esercitava negando, proibendo, limitando. Occorre entrare nell’ordine di idee di un’autorità, per così dire, “femminilizzata”.
Ho partecipato a diversi dibattiti su questo tema, e credo che sia la via più promettente di ricostruzione di questa funzione su nuovi binari. Un’autorità che acconsente, che produce iniziativa anziché tarparla, che per affermarsi non ha bisogno di negare l’altro, ma che può invece fargli spazio.
La scuola ha bisogno di questo e portare l’inconscio a scuola significa anche far valere una forma di autorità che non incarna la negazione, ma che si fa vettore delle forze pulsionali per incanalarle verso le loro reali possibilità creative.
Marco Focchi
Istituto Freudiano, Milano
Focchi, M. (2015). L’ inconscio in classe. Il piacere di capire e quel che lo guasta, ed. Orthotes