L’APPROFONDIMENTO: Oriente e Occidente: la storia di un incontro
La medicina ayurvedica e il sapere orientale affondano le radici in un mondo che ha un retroterra culturale molto diverso dal nostro. Abbiamo concluso un precedente articolo con un invito e un augurio: Twain Shall Meet… eppure sì, i due si incontreranno. Emerge chiaro come ora (limitandoci alla nostra materia) Oriente e Occidente stiano venendo in contatto. Da un lato tecniche di medicina, meditazione o arti fisiche un tempo circoscritte in Oriente (e in parte solo nei monasteri) si stanno diffondendo in Occidente. Dall’altro, tecnologia, status symbol, cibi, abiti o saperi tipicamente occidentali hanno iniziato a percorrere le strade orientali.
Ayuttaya fu la capitale del regno Thai dalla metà del XIV secolo fino al 1767. Ubicata in posizione strategica, divenne presto porto franco meta dei numerosi commercianti che giungevano dalle sponde del fiume Chao Phya. In due secoli divenne una delle più fiorenti città cosmopolite dell’Asia. Circa cinquecento templi, molti dei quali con pagode rivestite a foglia d’oro, vegetazione splendida, pappagalli ed elefanti conferivano a questa terra un’aura paradisiaca agli occhi degli occidentali che vi giungevano; e unita a essi, la proverbiale gentilezza del popolo Thai¹.
Gli abitanti di Ayuttaya erano quindi abituati a vedere farang², comunità di commercianti provenienti da Francia, Olanda, Portogallo o Inghilterra. Ai Thai questi strani esseri bianchi apparivano un po’ come orchi: grandi, pelosi, grezzi nei modi e lussuriosi, ma detentori di notevoli abilità tecniche, soprattutto nell’arte della guerra. Gli orchi avevano anche una religione (al loro seguito giungevano anche sacerdoti e monaci), ma per il popolo Thai, abituato a una cultura intrisa di gentilezza e contenimento, essa sembrava priva d’ogni attrattiva giacché vedevano poca coerenza tra le sue parole ed i comportamenti pratici di coloro che la professavano. Così, sorridendo come sempre con gentilezza, accoglievano gli stranieri respingendo però ciò che a loro sembrava poco interessante.
Dal XIX secolo le potenza di Francia e Inghilterra crebbero e l’immagine degli occidentali iniziò a cambiare: divennero il simbolo della modernità. Tra i benestanti fu introdotto il modo di vestire occidentale. Veicoli a motore, gadget o cibo occidentale diventarono ambite mete. Ma non oltre. Dal canto loro a questi occidentali non pareva d’aver nulla in particolare da cogliere da questo popolo, se non la gentilezza (che a volte, pareva loro forse un po’ sciocca) e il favore di questa terra.
Oltretutto in quegli anni il sapere più profondo che animava l’Oriente era confinato per lo più nei monasteri e nessun laico autoctono abitualmente riceveva od offriva insegnamenti. Per i Thai, il modo di vivere la loro religione, scienza e medicina era per lo più sostenere e offrire omaggi a monaci e maestri perché potessero dedicarsi a questo sapere (considerato così profondo da richiedere una vita dedicata); ed in tal modo essi potevano così trarne gli attesi benefici. Analogamente anche per coloro, occidentali, che avessero desiderato interessarsi a questa cultura, risultava difficile (impossibile…) trovare qualcuno che fosse disposto a offrire loro insegnamenti.
Dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, la situazione iniziò a cambiare: i Thai presero ad abituarsi a uno spettacolo nuovo. Accanto a commercianti o militari, iniziò a giungere un’ondata di giovani: alti, pelle chiara, capelli lunghi e blue-jeans che, con grossi zaini sulle spalle, camminavano alla ricerca di maestri. Erano la prima goccia di quel flusso che avrebbe portato con profondità l’Oriente in Occidente: furono i primi laici a cercare (trovare, praticare) gli insegnamenti orientali più profondi. Molti di essi, tutt’ora anziani e viventi, divennero monaci o maestri di grandi raggiungimenti, mentre per il tramite di alcuni di essi, autorizzati all’insegnamento, l’Oriente iniziò a giungere in Occidente a piccole gocce, nel suo sapere più autentico, completo, profondo.
Si realizzava così, tra l’altro, l’antica predizione secondo la quale l’insegnamento orientale (che a partire dal buddha è datato oggi di 2558 anni) avrebbe attraversato, da lì, cinque epoche di cinquecento anni ciascuna, nelle quali l’enfasi del sapere sarebbe stata posta su elementi diversi (prima, all’epoca del buddha, sulla diffusione e pratica dell’insegnamento; poi su sila, moralità, come mezzo per raggiungere il benessere; poi su samadhi, concentrazione o calma della mente; poi sul sapere teorico, e si diffusero molti dotti e studiosi; poi su dana, la generosità, offerta per sostenere monaci e maestri). Per poi riprendere nuovamente il ciclo tornando a porre l’enfasi sulla diffusione e pratica dell’insegnamento: ed in questo secondo ciclo l’insegnamento sarebbe uscito dai confini dell’Asia, diffondendosi nel mondo.
Ajahn John Coleman, giunse in Thailandia verso la fine degli anni ’50, proprio sul confine di quella predizione. Americano, inviato in Thailandia come incaricato di operazioni di intelligence della CIA, iniziò a guardare con un certo interesse questo popolo così diverso da lui e con doti che apparivano in realtà meno sciocche di ciò che potesse a prima vista sembrare. Qual era il loro segreto? Iniziò a interessarsi a quella cultura ed alla meditazione e andò alla ricerca di un maestro. Nei ritiri ci raccontava della sua storia: di quella splendida terra, le pagode, i pappagalli, gli elefanti; la strana gentilezza di quel popolo; il suo crescente interesse nel comprendere da cosa derivava la loro forza pacata, salute, benessere; la sua ricerca, la difficoltà a trovare un maestro. Era la fine degli anni ’50.
La situazione mutò gradatamente proprio in quegli anni: alcuni monaci iniziarono a piccoli passi ad aprire le porte a laici che desideravano apprendere gli insegnamenti. Laici sia locali sia occidentali ricevettero allora una formazione profonda e alcuni di essi furono autorizzati a loro volta all’insegnamento³.
Tra essi, il mio primo maestro Ajahn John Coleman.
Così la storia volle che egli lasciasse la CIA e, tornato in Europa, iniziasse su spontanea richiesta che gli proveniva dall’Occidente (Europa, America, Australia…) a condurre ritiri. Sempre con la medesima modalità e con perfetta fedeltà all’insegnamento originario: nessun adattamento, nessuna concessione di comodo. Iniziavamo lì: dal cuscino di meditazione; precetti morali, nobile silenzio e sveglia alle quattro, prima dell’alba.
Il sapere orientale si può affrontare solo penetrando la mente e la cultura che lo anima; una cultura che giunse millenni or sono a traguardi che la scienza occidentale oggi conferma.
Prossimamente parleremo di come accostarsi alla medicina orientale: la percezione di aniccia, vibrazione.
Elena Greggia
Orientalista e ricercatrice, Milano
¹ Vi porgo un racconto che origina dalla storia, ma soprattutto dalla diretta voce dei miei maestri che -primi occidentali che giunsero in Oriente non più come commercianti o militari ma come ricercatori- vissero l’iniziale periodo di profonda apertura tra Oriente e Occidente. Divennero Maestri. Trovo interessante questo racconto anche per le chiavi graduali che offre: l’Oriente visto da un occidentale, e man mano compreso… accostato… studiato in profondità, fino a trasformare la vita stessa.
² Farang: parola derivata da “franco” o “francese”, i primi occidentali noti ai Thai.
³ Ajahn Sumedho, di origine americana, oggi ultraottantenne, stette oltre dieci anni in Thailandia sotto la guida del maestro Ajahn Chah, monaco della foresta thailandese. Egli fu tra i primi occidentali a ricevere una formazione completa e dopo molti anni fu nominato abate di un monastero in Thailandia. Infine, inviato in Europa, diede inizio a una ricca trasmissione di insegnamenti formando sia monaci che laici; attualmente è ritirato in Thailandia. E’ stato mio maestro. Con esso alcuni altri come Ajahn Jayasaro, di origine tedesca, Ajahn Munindo ed Ajahn Chandapalo, residenti oggi in Europa.