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DE LITTERIS ET ARTIBUS – Femminicidio

Donna al balcone, Sicilia, Sellerio

Un approccio darwiniano alla linguistica postula che le lingue – essendo soggette a continue variazioni – cambiano nel tempo seguendo regole simili a quelle delle specie biologiche.

Assistiamo ininterrottamente all’emergenza di nuove parole, pronunce e strutture grammaticali: alcune di esse hanno più successo di altre e si diffondono nell’uso da parte della popolazione, contribuendo così all’evoluzione della lingua.

Ciò nonostante, le nuove parole vengono spesso osteggiate da chi ritiene che le lingue debbano essere mantenute “pure” (lo si pensava anche per le razze) e da chi ha qualche motivo di disaccordo con le sfumature di significato che possono essere introdotte dalle innovazioni linguistiche.

In questo contesto si possono collocare le frequenti critiche al termine “femminicidio”, che è comparso anche nella lingua italiana per definire il crimine di odio nel quale il solo fatto di essere donna è la causa principale della violenza omicida.

Peraltro, se in Italia ci si lamenta dell’uso di questo neologismo, in inglese femminicidio ha due possibili traduzioni: femicide è definito come l’omicidio di esseri umani in quanto donne, mentre feminicide enfatizza le condizioni strutturali che facilitano questi crimini, che – ahimè – risultano almeno marginalmente tollerati dalla cultura patriarcale nella quale si verificano.

Il femminicidio, radicato com’è nella disuguaglianza sistemica di genere e nella misoginia, rappresenta un tema di grande complessità e forse proprio per questo evoca – in alcuni – un certo senso di fastidio.

Infatti il termine viene a volte considerato uno stucchevole omaggio all’ideologia woke, che si prefigge di mantenere alto il livello di consapevolezza relativa alle ingiustizie sociali, specialmente quelle legate al sessismo, al razzismo e all’omofobia.

Per alcuni, un’obiezione importante è che, in definitiva, il femminicidio è un omicidio come tutti gli altri, anche se la vittima è una donna.

Chi la pensa così ha probabilmente qualche ragione sul piano del linguaggio tecnico giuridico, che proviene da una storia del tutto particolare e che si è sviluppato nei secoli proprio con l’obiettivo di essere poco permeabile a innovazioni non sufficientemente consolidate nella sensibilità diffusa.

Il mio quesito ai lettori è se la straordinarietà del femminicidio possa giustificare l’ampliamento di un linguaggio formale come quello giuridico e incoraggiare un’adozione più generalizzata e convinta di questo neologismo.

Massimo Pentalogo

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