L’Institutio Santoriana-Fondazione Comel ha dei confini ben delineati sin dall’origine: a ovest il complesso monumentale del Duomo e a nord le mura urbane tracciate nel 1155. Gli altri limiti dell’isolato sono: a sud l’attuale Via Cardinale Maffi, già Via Torelli, creata nel 1863-64, e a est la Via San Ranierino, tracciata negli anni Cinquanta del secolo scorso con l’apertura di un varco nelle mura urbane. La posizione del sito della Fondazione, assolutamente privilegiata, a fianco del Prato del Duomo, consente facili individuazioni attraverso la cartografia storica pisana, pur tenendo presenti le imprecisioni dei rilievi e dei sistemi di rappresentazione in uso sino a metà Ottocento.
La prima pianta della città, di un autore non identificato, già attribuita a Giuliano da Sangallo, è della fine del XV secolo o dell’inizio del XVI secolo; a penna, rappresenta la città senza iscrizioni. Si deve attendere la fine del Cinquecento per avere la prima veduta a stampa, un’acquaforte di F. Hogenberg dal titolo Pisa urbs Etruriae, dove viene rappresentata la città in termini prospettici.
Nel Seicento la produzione cartografica aumenta notevolmente, con la pianta prospettica di Achille Soli del 1605, con quella di Iodocus Hondt del 1627 e con altre ancora. Le piante settecentesche derivano dalla Pianta Scorzi della prima metà del secolo, accuratamente disegnata e con 139 rimandi ai luoghi più importanti della città. Il tessuto urbano e le aree verdi all’interno delle mura sono riportati con precisi intenti cartografici. In tutte le piante ricordate si legge chiaramente che il sito attuale della Fondazione era occupato da orti e giardini. Soltanto con la Pianta della città di Pisa, una incisione del 1792, disegnata da Agostino Angioli e incisa da Cosimo Zocchi, sull’area di nostro interesse compare una strada, perpendicolare alle mura urbane, che conduce ad un edificio.
L’informazione è confermata dal Catasto Generale della Toscana del periodo napoleonico, che mostra un lungo fabbricato individuato dal numero 68 e classificato come “casa”, mentre l’adiacente particella 69 è definita “orto con conserva d’Acqua”, e la particella 329, che risulta collocata tra la casa e le mura urbane e si estende fino alla Porta a Lucca, è semplicemente indicata come “orto”. Tutte le particelle risultano intestate ai medesimi proprietari: “Piazzi Avvocato Tommaso e Gaspero di Giovan Marco”. La sovrapposizione della mappa con il confine attuale dell’immobile evidenzia che la parte terminale sinistra dell’edificio sorgeva su una porzione del sito dove oggi insiste la palazzina a tre piani prospiciente Via San Ranierino.
Si dovrà attendere sino al 1846, quando l’ingegnere Giacinto Van-Lint eseguirà la Pianta della Città di Pisa effettuando il primo rilevamento moderno basato sulle mappe del Catasto urbano, per avere una rappresentazione precisa e minuziosa. Anche in questa mappa si rileva il medesimo edificio. Una grande rivoluzione urbanistica per tutta la zona nord-ovest della città fu avviata dall’ampio programma di abbellimento della Piazza coordinato da una apposita Commissione costituitasi nel 1863. Il programma della commissione è riassumibile in tre punti: abbattere i fabbricati attorno alla Torre, rettificare le facciate degli edifici circostanti imprimendo loro i caratteri stilistici pisani; tracciare una nuova strada di collegamento del Prato del Duomo con la Porta a Lucca. I primi due punti, già teorizzati da Alessandro Gherardesca nei decenni precedenti, consistettero nella demolizione della chiesa di San Ranierino, della Casa dei Curati, della Casa dei Campanari, della residenza del Capitolo e della pompa e della cisterna d’acqua.
L’operazione aveva lo scopo di dare maggiore risalto alla torre, isolandola dal contesto nel quale era sorta. Le facciate dei palazzi prospettanti sulla piazza vennero rifatte in stile “antico”. Il tracciamento della strada tagliò molti orti e giardini, tra i quali anche gli orti dei canonici, correndo parallela alle mura urbane. Doveva essere dedicata a Bonanno, portò invece il nome del Prefetto Torelli, presidente della Commissione di abbellimento. La decisione di prolungare la Via Torelli sul Prato del Duomo, facendola ruotare attorno alla Torre, ebbe la prerogativa di consentire ai visitatori visuali “sublimi” del Monumento. Artefice e protagonista assoluto di tutte le operazioni fu l’ingegnere Pietro Bellini, già responsabile per conto dell’Operaio Presidente prima dell’Unità d’Italia ed in seguito “Ingegnere ad un tempo del Comune e dell’Opera della Primaziale“, che progettò e diresse tutti i lavori. Sulla Via Torelli troverà sede la nuova chiesa di San Ranierino, patrono della città, costruita frontalmente alla piccola strada che giunge da piazza dell’Arcivescovado, denominata Via Traversa e rettificata per dare una maggiore visione alla piccola chiesa.
L’apertura della Via Torelli, il cui inserimento sulle mappe catastali è del 1864, incentivò la costruzione di numerosi edifici di civile abitazione negli anni seguenti. In particolare sorsero case a due piani fuori terra, a diretto contatto con la strada stessa. Le facciate ora presentano una porta centinata centrale con ai lati una finestra rettangolare per parte. Il piano terra è rifinito con intonaco riproducente un bugnato ed è delimitato dal marcapiano che separa l’intonaco fine del piano superiore, dove vi trova posta una porta-finestra con balcone. Quest’ultimo poggia su due mensole ed è protetto da parapetto ad elementi ripetuti in fusione. Altre finestre rettangolari inquadrano la parte centrale; un cornicione, con piccole mensole, conclude la facciata. La proprietà dell’area di nostro interesse era nel frattempo cambiata: ai Piazzi era subentrato Giovanni Giorgi fu Giuseppe e il 25 gennaio 1872 risultava proprietario Vittorio Giorgi.
Solo un anno dopo, il 13 febbraio 1873 i terreni furono acquistati da Luigi Bottari fu Antonio che farà edificare due edifici. Il primo sorge sui resti della casa dei Piazzi, censita con il numero 3799 e consistente in tre piani con sei vani a piano terreno e tre vani su ciascuno degli altri due (questo edificio è da identificare con l’attuale palazzina su Via San Ranierino). Il secondo edificio, con le caratteristiche tipologiche di facciata simili agli edifici prospicienti su Via Torelli, è edificato all’interno del giardino, così da ricavare un breve viale centrale. È classificato al numero 3963 e ha una conformazione rettangolare con cinque vani a piano terra, sei vani al piano primo e quattro vani al piano secondo. La proprietà passerà per successione alla nobile famiglia fiorentina Bruno: prima a Edoardo fu Carlo Maurizio, poi alla figlia Enrichetta e, nel 1907, alle sorelle di quest’ultima Maria e Matilde.
Dai documenti della successione di Enrichetta si apprende che agli edifici residenziali sono stati aggiunti: una loggia aperta (n. 4571), la stalla e la rimessa (n. 4570), il pollaio (n. 4572) e una capanna nell’orto (n. 69). Gli edifici accessori aggiunti sono costruiti a ridosso della riva del terreno che forma un dislivello di oltre due metri. I beni passano nel 1916, come “beni dotali”, a Giuseppina Venturi fu Giovanni (non è dato di sapere allo stato attuale se fosse figlia di Maria o Matilde Bruno) sposa di Antonio Bottari fu Luigi. Gli immobili passano per successione ai figli Carlo, Lina, Mario e Anna Bottari che li detengono sino al 1947, quando vendono tutti gli immobili al professor Marcello Comel, direttore della Clinica dermatologica dell’Università di Pisa. (Architetto Carlo Mariani, di Giussano MI, progettista e direttore dei lavori attualmente in corso sugli immobili della Fondazione)
Il dinamismo del nuovo proprietario ha modo di manifestarsi già il 26 giugno 1947, quando viene firmato un contratto d’appalto con l’ingegnere Giuseppe Miceli per la costruzione di una residenza all’interno del giardino. La costruzione della villa nel giardino viene autorizzata dalla Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie per le province di Pisa, Livorno, Lucca e Massa Carrara, ponendo come “condizione che l’altezza dal piano terra fino alla linea di gronda non superi i quattro metri, la distanza minima del fabbricato dalle mura non sia inferiore a metri dodici e la zona circostante venga sistemata a verde intenso”.
Il nulla osta dal Comune di Pisa giunge con la data del 12 agosto 1947 con allegate le piante approvate. Il progetto è composto da una planimetria in scala 1:1000, mentre pianta, sezione e prospetti sono in scala 1:50. L’edificio presenta ad ovest l’ingresso, che immette sul soggiorno. Un piccolo vano disimpegna un’anticamera dove si affacciano due camere da letto, un bagno ed un locale w.c. La casa è completata dalla cucina con vano dispensa e da una cameretta di servizio con locale w.c.
Nell’ottobre dello stesso anno si faceva domanda per il rilascio della dichiarazione di abitabilità per lo stabile “completamente finito in ogni suo particolare”. A neanche un anno di distanza dall’ultimazione dei lavori si chiede l’autorizzazione per ampliare la villa. “…da questi lavori non viene causata alcuna sopraelevazione dello stabile. I locali stessi sono destinati a ospitare l’Institutum Santorianum de Scientia Medica (Rettorato, con sede a Pisa) e i relativi lavori vengono eseguiti pertanto a fine mecenatico“.
Il 15 ottobre 1948 viene espresso parere favorevole all’ampliamento, restituendo una copia del progetto eseguito dal geometra Andrea Dal Torto: in questo modo la villa acquista la sua immagine definitiva. Il piano terra risulta formato da una “galleria” finestrata sul lato sud, con una scala lignea che conduce al piano superiore immettendo in un grande salone. Il prospetto sud risulta a due piani. A piano terra si ha una serie di sei porte-finestre con archi ribassati composti da mattoni disposti a coltello che poggiano su piedritti formati da lastre in Pietra di San Giuliano che simulano dei conci. Altre lastre sono inserite in modo sparso nel paramento in mattoni. Nella parte superiore due terrazze (che dovevano avere dei pergolati) incorniciano l’edificio, che è più stretto rispetto al piano sottostante e ha la gronda con dei mutuli semplificati ripresi dalla cornice dell’ordine dorico. Così scriveva il professor Comel: “La villa è stata trasformata in Padiglione per le riunioni scientifiche della Fondazione Camilliana e dell’Institutum Santorianum. Ospita la Biblioteca Camilliana, di cultura generale umanistica. Edifici adiacenti allogano il Rettorato, gli Atenei santoriani, e la Biblioteca Santoriana (biblioteca medica)“.
A seguito della mutata destinazione della villa, Marcello Comel abiterà nel corpo centrale del complesso. Il piano terra è destinato a studio professionale, biblioteca ed altri spazi per la Fondazione. A distanza di qualche anno (1955) si redige un progetto per realizzare, in due lotti, piccoli appartamenti per ospitare studiosi e borsisti. Il progetto, firmato dall’ingegnere Ugo Ciangherotti con studio a Pisa e Firenze, prevede la trasformazione dei locali esistenti a piano terra dell’ala est in appartamento del custode e camera per la domestica. L’ampio porticato del piano terra, con pilastri in pietra e archi in mattoni, sorregge parte del piano superiore di nuova edificazione. Una stretta scala porta dal porticato al giardino superiore a nord, dove il loggiato aperto (oggi chiuso da vetrate) serve a raggiungere le tre unità per gli ospiti, composte da un ingresso con armadio a muro, uno studio, una camera e un piccolo bagno. Il loggiato conduce anche alla cucina con la saletta di soggiorno e pranzo, oltre ad ambienti di servizio. Gli spazi ricavati sono minimi ma, per il periodo e per il fine con cui sono nati, suscitano un certo interesse anche per gli arredi disegnati e costruiti su misura.
Il secondo lotto intendeva realizzare, sopra il garage esistente e addossato al corpo ottocentesco, due unità per studiosi oltre a un tetto sopra il passaggio esterno di accesso alle camere, e modificare il terrazzo destro della villa per ricavare un collegamento coperto con il corpo centrale. La Soprintendenza ai Monumenti approvò solo la costruzione delle camere, ma negò la possibilità di modificare gli altri edifici.
Negli anni seguenti verrà completato il porticato dell’ala est su tutti e quattro i lati, mediante collegamento con la palazzina di tre piani, prospicente Via San Ranierino e coeva al corpo centrale, e attraverso la costruzione del fabbricato a sud, oggi destinato ad albergo. Non sono stati rinvenuti documenti riguardanti la progettazione e realizzazione del giardino, che si presenta molto articolato nelle sue forme e si sviluppa su due livelli. Pensato come un “giardino romantico”, presenta una vegetazione d’alto fusto e una fitta distribuzione cespugliosa integrata da vialetti e muretti in pietra che delimitano le diverse zone: la vasca a pentagono irregolare con la statua marmorea di Venere, i pergolati in mattone e legno coperti da diverse essenze, le nicchie ospitanti statue e vasi, i cippi in pietra con statue, il camminamento panoramico sulla piazza del Duomo, il filare di agrumi a spalliera sulle mura urbane contrapposto al filare delle palme. Questo ed altro ancora compongono l’esperienza di “viaggio” nello spazio e nel tempo che si può effettuare nel giardino della Fondazione e forse aiutano anche a comprendere -in parte- il suo ultimo abitatore: il professor Marcello Comel.
Architetto Carlo Mariani, di Giussano MI, progettista e direttore dei lavori attualmente in corso sugli immobili della Fondazione