L’APPROFONDIMENTO – Terre di Chilli (II)
Fin quando i leoni non avranno i propri storici, le storie di caccia continueranno a glorificare i cacciatori.
(Eduardo Galeano)
Erano (e sono ancora) i Mapuche (mapu significa terra e che popolo) un insieme di genti amerindie parlanti il medesimo linguaggio, originarie e stanziate nelle zone centro-meridionali del continente e quindi sparse fra le odierne Cile (isola di Chiloé compresa) e Argentina. Gli Spagnoli li denominavano anche araucanos, significante ‘ribelli’ in derivazione dal quechua, idioma dell’impero Inca cui, in effetti, costoro non mai si piegarono.
E forse un motivo della loro forza ed elasticità -a onta dell’assenza di organizzazione stabile statuale dato che erano piuttosto insiemi composti da famiglie numerose (poligamiche) riunite, quelle che si riconoscevano in un comune antenato, in entità più estese (lof) e quindi in caso di guerra, in gruppi più ampi ancora (rehues, formati dai lof) paragonabili a tribù.
In pace riconoscevano un capo (lonco, che significa ‘testa’) diverso da quello che le guidava in guerra (toqui: portante l’ascia).
Poteva proprio essere importante e strategica questa loro stratificazione tendenzialmente a fasce orizzontali, di qua e di là dalle Ande, dal fiume Aconcagua alla pampa argentina.
In ogni caso, come resistettero i Mapuche agli Inca, così ugualmente agli Spagnoli per tre secoli e fino all’indipendenza dei coloni cileni dalla madre patria maturata all’inizio del XIX secolo, tempo in cui forti istanze indipendentiste insorsero e armi alla mano diedero ovunque termine al colonialismo spagnolo.
La resistenza mapuche è nota come la Guerra di Arauco, dal nome della località principale nella regione, a nord dell’Araucania, del grande fiume Bio Bio che segnava anche, in pratica, una frontiera naturale non agevole da superare e quindi un confine contro le non gradite interferenze degli huincas (forse: ‘nuovo Inca’, persone di razza bianca, i nuovi conquistatori).
Filippo II riconobbe che le Fiandre Indiane costavano alla Spagna più perdite di qualsiasi altra conquista, che lui peraltro non vide terminata e neanche dopo la sua morte fu mai compiuta, ma definitivamente poi persa ai primi dell’800 con il distacco indipendentista ed è curioso (a volte la Storia insegna) che uno dei motivi della rivolta dei coloni cileni sia stata la moltitudine dei mestizos, nati dall’unione dei conquistadores con donne native, cui Madrid continuava a non riconoscere diritti pari a quelli dei bianchi di ‘razza pura’.
E già fin Carlo V d’Asburgo era dovuto intervenire con un decreto (1533) per obbligare i padri distratti a non ripudiare, ma a riconoscere i figli naturali allo scopo di riconoscere il diritto di tutti i figli, legittimi e non, a essere trattati allo stesso modo.
Anche se poi, una volta divenuti liberi repubblicani, i mestizos non riservarono ai Mapuche trattamento migliore di quello precedentemente ricevuto essi medesimi dalla Spagna.
Le genti mapuche, dedite all’agricoltura e all’artigianato, non mai aggressive o imperialiste, ma nondimeno straordinariamente ferme e determinate nella difesa a oltranza della propria libertà coltivavano (e tuttora mantengono pur sincretizzate con il cristianesimo) credenze religiose fondate sul rispetto della madre terra e sul culto degli spiriti oltre che sulla esistenza di un essere superiore, Nghenecén, colui che condusse i primi antenati umani dei Mapuche nel luogo in cui vivono e che opera per dare guida e benessere al popolo allo stesso modo in cui gli antenati (Pillan) continuano a operare nelle rispettive famiglie dei loro discendenti.
Importante è inoltre la tradizionale antica figura sciamanica (machi) che coesiste oggi con il cristianesimo, qui come in altre popolazioni native, di competenza di donne anziane capaci di riti per allontanare il male, per chiedere la pioggia, per la cura delle malattie tramite approfondite conoscenze delle erbe medicinali.
Nghenecén è delicatamente citato in una moderna composizione poetica in musica, scritta in termini appartenenti alla cultura mapuche e musicata da un compositore argentino di origine mapuche, adottata quale inno della provincia di Neuquén, nella Patagonia argentina, dal titolo Neuquén Trabun Mapu (Neuquén, terra dell’incontro) la quale in uno dei suoi versi canta il “Moltiplicare i pani come Nghenecén” in analogia al racconto evangelico.
La partitura, per chitarra, consta di quattro strofe e ritornello in cui interviene il tahiel (che significa ‘canto sacro’ oppure ‘uomo libero’), canto tradizionale mapuche di natura totemica, in ogni famiglia diverso e trasmesso per linea femminile, con cui la machi esorta all’unione del singolo con l’universo, con le generazioni passate e future e chiede benevolenza.
La guerra di Arauco, che gli storici fanno iniziare con uno scontro del 1536 tra Diego de Almagro e i Mapuche, è stata cantata in versi nel poema epico La Araucana, scritto da Alonso de Ercilla (e indirizzata al re Filippo nostro Signore) considerato l’epopea nazionale del Regno del Cile, una delle prime opere della letteratura del Nuovo Mondo.
Ercilla, al contempo uomo d’azione e letterato, portò la propria esperienza personale, avendo partecipato agli eventi bellici, in una tradizione letteraria rinascimentale debitrice verso la classicità (Virgilio e Lucano) e i poemi cavallereschi rinascimentali (Ariosto e Tasso).
Fu poeta molto considerato in patria e in colonia ed è sintomatico che il Cervantes, nell’episodio in cui è ispezionata la biblioteca di don Chisciotte allo scopo di bruciarne i libri che lo hanno spinto alla pazzia, faccia di La Araucana una delle opere salvate dalle fiamme, definendola fra i migliori esemplari del proprio genere, tra i migliori poemi in stile eroico mai scritti oltre che in grado di misurarsi con l’Orlando o la Gerusalemme.
Da parte sua lo stesso Ercilla, poco a suo agio sia con l’avvertimento evangelico intorno alla ricerca dei primi posti sia con il britannico, sebbene un po’ ipocrita, understatment aveva messo le carte in tavola fin dai primi versi iniziali del poema scrivendo di sé per annunciarsi con spagnolesca baldanza: Partono correndo con leggero passo Marone di mantova (sic) e di Smirna Omero, ognuno cercando di essere il primo sulla difficile vetta del Parnaso. Vanno dall’Italia Ariosto, il colto Tasso e dal famoso popolo iberico Boscán, Mendoza celebre e sincero e l’illustre e divino Garcilaso. Vai dopo costoro, generoso Ercilla, e anche se in tempo prima che tu fossi passi davanti a tutti facilmente.
Nella visione di Ercilla, pur loro avversario, i Mapuche sono coraggiosi (sicuramente vero) e nobili al pari di loro (analoghi) antenati della classicità greco-latina onde protagonisti del poema sono, da un lato, Caupolicán, capo e guerriero indiano di cui, sebbene vinto, è esaltata la grandezza in termini di valore e amore patrio e, dall’altro, lo stesso Ercilla, il poeta-soldato che opera bensì dalla parte degli arroganti vincitori, ma generosamente rende onore ai capi mapuche, Caupolicán appunto, e Lautaro e Colocolo e Galvarino e al coraggio della loro resistenza così come stigmatizza apertamente il comportamento altezzoso, tracotante e crudele di de Valdivia contro gli indigeni e anzi lo incolpa di essere causa delle ribellioni e della sua stessa morte.
Anche la glorificazione dell’eroe vinto, consapevole del proprio tragico destino e pur tuttavia resistente fino all’ultimo, è tradizione classica condivisa nella poesia, fino e. g. a Foscolo (E tu onore di pianti, Ettore, avrai … e finché il Sole risplenderà su le sciagure umane) e Leopardi (… i greci eroi, cagione ai Persi d’infinito affanno …) imparati un tempo sui banchi di scuola.
Tornando alla mitologia mapuche dei due serpenti di cui è cenno all’inizio, Cai Cai e Ten Ten erano in origine figlio e figlia dei più potenti spiriti (Peripillàn e Autu), trasformati in forme animali a causa di malefatte non precisate, e come non erano amici i padri, così neanche loro stessi. Cai Cai fu mandato a vivere nel mare con gli spiriti dell’acqua e per aiutare l’umanità e Ten Ten fu mandata a vivere sulla terra con gli spiriti della terra e per aiutare l’umanità.
Al suo risveglio da un lungo sonno, Cai Cai però si infuriò a causa dell’ingratitudine che gli uomini mostravano per ogni dono dato loro dal mare e volle punirli trascinando la vita terrestre nel suo regno: usò pertanto la sua coda a forma di pesce per colpire l’acqua, provocando una grande inondazione, e ordinò alle acque di inondare le valli e le praterie e di portare gli abitanti della terra sul fondo del mare.
Gli umani invocarono allora l’aiuto di Ten Ten, la quale li trovò disperati, loro e anche gli animali. Avendo per compito il fornire saggezza e protezione all’umanità, decise di aiutarli e parte salvò dalle acque sollevandola sul dorso per condurla alle colline, parte fece fuggire trasformandola in uccelli in modo che potesse volare e parte ancora, chi stava annegando, trasformò in pesci e mammiferi marini, fra cui il cahuelche (delfino parlante), mentre quanti erano già annegati divennero sumpall (tritoni e sirene).
Ma il mare continuava a salire e Ten Ten in risposta aumentò l’altezza delle colline fino a farle divenire alte montagne onde si giunse alla inevitabile conflitto diretto che lungamente infuriò fino a quando entrambi i due serpenti non furono esausti e rimase che, da un lato, Cai Cai non fu in grado di allagare tutto mentre, dall’altro, Ten Ten non riuscì a fare ritornare le acque al loro precedente livello.
Così il territorio cileno prese la sua definitiva forma frastagliata ricca di monti e valli, isole e arcipelaghi.
Giulio M. Cicognani
(La prima parte dell’articolo è stato pubblicato sul precedente numero 245)
