Antipolitica
Si sono svolte le elezioni amministrative in una rilevante parte del territorio nazionale: precedute da una (apparente) disattenta sordina della maggioranza degli esponenti politici e seguite da sconcertanti dichiarazioni da parte dei prima mutoli stessi soggetti. Stando alle notizie di stampa, c’è chi avrebbe detto che non si incontrerà più con gli altri segretari di partito: siccome ha perso la colpa -come sempre- è degli altri: quindi meglio soli che mal accompagnati.
C’è chi avrebbe detto che il suo partito si è rinforzato (perché si è limitato a perdere oltre 90.000 elettori) e che quindi ora avrà diritto ad un maggior potere contrattuale. Le passate esperienze non sembrano suffragare questa visione quasi mistica, ma sulle opinioni -come sui gusti- è inutile discutere.
C’è chi avrebbe voluto dire e stradire, secondo i suoi costumi, ma non avendo ancora ben capito cosa sia successo si è trovato indotto ad una sconosciuta (anche se per noi riposante) afasia.
Nessuno, o quasi, sembra avere espresso considerazioni sul fatto (questo sì sensibile sotto il profilo della democrazia, ammesso che il vocabolo sia ancora percepibile in termini di sistema di convivenza politica) che i partiti non avevano proposto uno straccio di programma da comunicare agli elettori, ma solo parole. Va bene che solo di amministrative si trattava, ma insomma…
E’ evidente che se per questo guazzabuglio si usa il termine di politica, per molti cittadini la reazione naturale è ‘anti’.
Il programma che la democrazia postulerebbe non è, beninteso, una lista di declaratorie fuori del reale lanciate per impressionare gli elettori nella coscienza, da un lato, della loro impossibilità (chiamiamola mala fede) e, dall’altro, nella confidenza che tanto la gente dimentica (anche se non sempre): di questo malcostume nessuno sente la mancanza, anzi c’è la saturazione.
Il programma per una consultazione amministrativa, viceversa, potrebbe delinearsi quasi da sé: qualche seria priorità, qualche serio impegno comportamentale verso gli elettori che coincidono con gli amministrati, qualche modalità operativa e, se possibile, qualche riferimento al ‘come’ (risorse), in difetto di che è un vaneggiamento.
In realtà alcuni sindaci (in particolare giovani) neo-eletti indipendentemente dai partiti hanno sottolineato l’esistenza di obiettivi proposti come comprensibili anche se qualcuno si è allargato a prospettare cose che forse esulano dalla competenza di un sindaco (ma il cattivo esempio viene dall’alto).
I partiti dal canto loro, pronti a risposte concrete quando si tratti di denaro (per loro: e in questo sono bipartizan in modo commovente), sembrano continuare a non rendersi conto che i cittadini (vulgo: il popolo) ne ha abbastanza -salvo forse qualche pervertito- delle loro polemiche e beghe interne ed esterne: se fossero capaci di esprimere proposte operative (anche piccole, per carità) con lo stesso entusiasmo inesauribile con il quale litigano senza fine ed insultano gli avversari saremmo già a metà dell’opera.
L’orientamento di diffusa ripulsa che molto sommariamente riceve la targa di antipolitica, termine imprudente e non efficace -anche se di tendenza- perché copre pensieri e comportamenti che invece sono politica (e come se lo sono), trova proprio in questo pantano la sua genesi.
E più appropriatamente sarebbe, viceversa, da intendersi come anti-partitica (rivolta a questi partiti) e anti-politici (rivolta alla maggioranza di questi politici): che avendo trovato -di comune accordo una volta tanto- il modo di trasformare la politica in professione a vita, si sono procurati una (democratica?) inamovibilità fattore indipendente.