Giochi (2)
A proposito del gioco d’azzardo e della sua (ambigua) attrazione, ricordo la saggezza pratica di mio padre quando divenni maggiorenne.
Un pomeriggio verso sera, eravamo in vacanza, mi invitò ad andare con lui. Ce ne andammo accompagnati dallo stupore di mia madre e di mio fratello minore e mi condusse ad un noto Casinò nel quale entrammo e mi fece senza fretta girare per le sale.
Ricordo ancora adesso, dopo tanto tempo, la sensazione sgradevole che ne trassi: le espressioni dei giocatori, la loro solitudine, la loro tensione, l’aria avvizzita dal fumo nonostante le grandi finestre aperte sull’estate dietro le tende, i tappeti e le stuoie con le bruciature delle sigarette. Né gli abiti scuri del personale né gli abiti da sera dei giocatori (non di tutti) portavano in qualche modo eleganza all’ambiente, almeno per quanto fu la mia percezione di allora. Ben diverso dai luccicanti film di 007, ovviamente, e da tante pagine letterarie: un conto è la presentazione, più o meno artistica, del gioco e un conto è vederlo dal vero.
Mio padre si offrì anche di farmi provare qualcosa, se mi andava di farlo, così come mi aveva detto che se avessi voluto provare a fumare avrebbe desiderato chiedessi a lui le sigarette (era un forte fumatore che fece, poi, molta fatica a diminuire senza riuscire a smettere) e lo facessi in casa mia, senza bisogno di andare a nascondermi nei cessi del liceo o fuori con qualche compagno o compagna.
Ricordo che declinai il suo invito, ma in verità senza fatica: ci ero rimasto male e l’ambiente non mi divertiva proprio. Anzi, ero diventato anche triste.
Non so, onestamente, cosa mi sarebbe successo se ci avessi provato e nel caso, con la fortuna o qualcosa d’altro che si dice abbiano i principianti (e non solo nel gioco) avessi fatto un en plein da favola: fra le tante cose sulle quali la vita mi ha fatto ricredere non c’è comunque il non aver tentato, da giovane, la roulette. E nemmeno da vecchio.
Non ho più rimesso piede in un Casinò se non un paio di volte, ma per lavoro e non per giocare.
A maggior ragione non ho mai provato voglia di cimentarmi con le slot in qualche bar, per giocare taluna delle monetine che si ritrovano sciolte e senza nome nelle tasche e sembrano non avere valore più di tanto né sono entrato negli spazi dedicati (possiamo, forse, chiamarle bische?) che stanno nascendo come funghi nelle nostre città.
Sono stato e continuo ad essere, evidentemente, molto fortunato.
Ed ogni volta che vedo i giocatori dallo sguardo fisso sullo schermo, in mezzo ai lampeggianti bip bip elettro-meccanici, sono grato a mio padre dell’insegnamento che, di poche parole e timido com’era, mi diede in quel tempo per il tramite di quell’esperienza ormai molto lontana.
Auguro con tutta la mia volontà e partecipazione umana a chi gioca di riuscire a liberarsi da questo vincolo senza gioia, anche se così facendo ben so di non guadagnarmi le simpatie del nostro Stato più biscazziere che patria il quale probabilmente (ahinoi!) ha nei suoi sogni un popolo (che non dia fastidio) di sudditi appassionati di calcio, dediti alle scommesse e al gioco per il tramite dei proventi del quale copre almeno una parte dell’evasione fiscale dei (tanti) soliti ignoti.
Il panem et circenses non è finito con la caduta dell’Impero.