L’APPROFONDIMENTO: La medicina del futuro e i limiti del post-umano
Se curare significa prendersi cura, per la medicina ha significato nel tempo anche intervenire concretamente sul corpo del paziente; dalla trapanazione del cranio degli egizi alla scoperta dei nervi con i medici Alessandrini fino a Vesalio, a Willis, e alla scoperta dell’anestesia, il medico è stato a tutti gli effetti un disvelatore dei segreti della natura e il protagonista della scienza del corpo. Negli ultimi decenni però questo ruolo si è radicalmente trasformato grazie allo sviluppo dalla tecnologia che oggi non è più, come in passato, al servizio della medicina, ma apre frontiere e interrogativi che sembrano ridefinirne l’oggetto e il campo di indagine.
Con il completo sequenziamento del genoma umano (2003), assistiamo oggi ad una ingegnerizzazione del corpo che non riguarda solo le pratiche mediche ma, più in generale, l’essere umano. La coltivazione di tessuti e organi in laboratorio renderà entro pochi anni il trapianto un capitolo da manuale di storia della medicina, mentre la microchirurgia non invasiva renderà obsoleta la practica settoria nei termini in cui essa è stata praticata da Galeno ai giorni nostri.
Ma è soprattutto la terapia intesa come risposta ad una patologia esistente con cui il medico entra in relazione a posteriori che sarà completamente alterata. La scoperta che una parte del DNA detta CRISPR (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats) può essere programmata e modificata con precisione promette ormai di prevenire – eliminandole all’origine – malattie come il Cancro, la Sindrome di Down, l’HIV o il Morbo di Crohn.
Se la possibilità di accedere a questo tipo di procedure rappresenta in parte un avveramento della missione storica della medicina, che è quella della prevenzione, dall’altra essa segna il tramonto di una concezione del rapporto medico-paziente. Per Ippocrate e Galeno la medicina è l’arte di ristabilire la salute del un corpo attraverso segni (semeia) che il medico deve intepretare per determinare lo stato di salute o malattia del paziente.
Ancora all’inizio del Seicento, il grande medico italiano Santorio Santori (1561-1636), padre della moderna fisiologia sperimentale, definiva quella medica ‘un arte fattiva, che ristabilisce le condizioni precedenti all’insorgenza di una malattia, ma non può ricrearle, poiché al medico non è dato di creare organi nuovi”.
Dacché questo è possibile, non è difficile immaginare un futuro in cui al medico non sarà più chiesto di sanare un corpo malato, ma di adeguarlo a una soggettiva richiesta del paziente. La chirurgia estetica ne offre un esempio efficace, ma essa è destinata a seguire il declino di tutte le pratiche mediche invasive e a cedere il passo alle conquiste dell’ingegneria genetica e delle nanotecnologie.
Programmato ab origine senza errori, il corpo sarà ingegnerizzato e quindi standardizzato, portando così ad una sua spersonalizzazione e alla richiesta, per compenso, di trasformarlo. In molti casi, e soprattutto per il cosiddetto dibattito sul transgenderism che si sta svolgendo in area anglosassone, questo è già in atto.
L’assenza di dati certi sull’origine organica delle tendenze transessuali, e l’intersezione con il paradigma del costruzionismo sociale (social constructionism), secondo cui la transessualità rappresenta una tra le possibili indentità sessuali, ha portato a una sostanziale trasformazione della missione del medico che non è più quella di ripristinare un quadro clinico, ma di alterarlo in base alle esigenze del paziente.
In Inghilterra una disposizione che permetterà all’individuo di autoidentificarsi con il sesso prescelto a piacimento e senza attendere la diagnosi medica di gender dysphoria è in attesa di diventare disegno di legge entro la settimana prossima. Al di là di possibili implicazioni etiche, che questo articolo non affronta, la possibilità di cambiare il sesso di un individuo adulto in risposta ad una semplice richiesta del paziente è già un fatto.
Il delinearsi di questa nuova condizione è quella che alcuni filosofi chiamano del post-umano o post-umanesimo (posthumanism in inglese).
Come sottolineato da Stephen Hawking in un libro cominciato prima della morte e di prossima uscita (Brief Answers To The Big Questions), la sempre più ampia e profonda dipendenza dell’uomo dalla tecnologia lo porterà inevitabilmente a trascendere i suoi limiti. Chiaramente alcuni aspetti di tale scenario sono ancora fantascienza, giacché non sappiamo se, ed entro quali limiti, le nuove tecnologie saranno efficaci, e non vi sono certezze quanto alle possibili controindicazioni, eppure, nelle sue linee fondamentali, un futuro post-umano è alle porte.
Con la programmazione CRISPR delle nuove generazioni si porrà il dilemma etico se garantire a tutti i futuri nati lo stesso trattamento, giacché il non garantirlo equivarrebbe a relegare tali individui ad una condizione di svantaggio.
Hawking ha immaginato che una tale opzione seguirà il decorso delle attuali disuguaglianze umane, con la popolazione più ricca che avrà accesso alle tecniche eugenetiche a scapito dei ceti meno abbienti.
Questa ridefinizione dell’umano esige allo stesso tempo un’analisi di concetti come natura e normalità. Ambedue sono concetti complessi e non esenti dal significato che la storia e la cultura vi hanno apportato nel tempo, ma se un senso profondo per entrambi può essere identificato, questo va cercato nell’interazione dell’uomo con il suo habitat, che certo non verrà meno neppure in un mondo post-umano.
Pur non essendone direttamente coinvolto, un testo di Marcello Comel, L’Uomo nel Suo Ambiente (Milano 1981) disegna i contorni di un approccio all’integrazione uomo-habitat in un possibile scenario post-umano . Nella sua dipendenza dall’ambiente, infatti, l’uomo post-umano dovrà far co-evolvere il suo habitat in nuove direzioni e, in questo senso, la sua umanità come co-dipendenza dalla natura, non andrà perduta, ma ridefinita.
La scelta ecologica rappresenterà al tempo stesso una scelta etica di responsabilità, giacché, nella necessità di modificare la natura per co-evolvere nuovamente con essa, l’uomo assumerà su di sé un ruolo di co-attore anziché di protagonista. Accanto all’etica, dunque, l’ecologia avrà un ruolo fondamentale nel tracciare il futuro dell’individuo post-umano, un futuro in cui al medico non sarà chiesto unicamente di considerare le implicazioni etiche delle sue azioni, ma anche il loro ruolo nel ridefinire la natura umana.
Fabrizio Bigotti
Julius-Maximilians Universität Würzburg
Centre for the Study of Medicine and the Body in the Renaissance – Pisa