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EDITORIALE:

Alle elezioni presidenziali USA sono giunti due finalisti che, per diverse ragioni, suggeriscono qualche domanda sulla democrazia, quantomeno quella ancora considerata tale nella corrente cultura occidentale.

Valida ancora, allo stato, l’osservazione di Churchill sull’essere, essa, la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre forme sperimentate fino ad ora, in realtà sembrerebbe difficile pensare che in un Paese di siffatte dimensioni (anche di civilizzazione e di densità demografica, oltre che economiche) e tradizioni non si siano presentati o non siano emersi alla ribalta politica candidati diversi (da quelli che si sono affrontati e) da quelli rimasti in lizza.

Scartata la reciproca diatriba sull’età e sulla salute considerando che l’esperienza, e non solo negli USA, conferma non essere queste condizioni dirimenti (nel caso andrebbe auspicabilmente a priori accertata -ove fosse realistico immaginarlo e possibile realizzarlo in modo obiettivo e indipendente- ma in tutti i soggetti di governo e di potere la rispettiva capacità e stabilità psichica) bisogna prendere atto con una certa inquietudine che l’insieme degli elettori accettano oramai, o forse richiedono essi stessi, di sentirsi dire parole (promesse ed obiettivi) non supportate da qualche modalità attuativa.

Parole scisse dal realismo delle opere.

Quindi asserzioni e slogan e minacce, oltre che polemiche personali più o meno velenose, le quali indipendentemente dalla capacità e assertività di chi le pronuncia non valgono invero l’attimo fuggente della loro estrinsecazione.

Può ben darsi che qualcosa o molto, in particolare delle minacce, sia poi anche realizzato, ma difficilmente questo può essere visto come un programma politico a meno di non modificare radicalmente le aspettative più ovvie, e più sobrie, circa il contenuto di un programma che dovrebbe innestarsi sullo scenario che sarà ereditato da colui il quale, al vertice, sta per lasciare la mano lasciando contemporaneamente problemi molto seri sia all’interno sia all’esterno.

Nella democrazia attuale, caratterizzata da un piano inclinato verso la semplificazione e la radicalizzazione, anche violenta, di realtà che conseguono anche a crisi ed errori molteplici di vario genere, ma che comunque realtà sono e rimangono e come tali devono (dovrebbero) essere affrontate, può sfortunatamente accadere di tutto: anche l’involuzione del sistema.

Considerando la carta geopolitica del mondo e vedendo quanti padroni già siano in circolazione, diversi dei quali mantengono spudoratamente sul biglietto da visita il termine ‘democrazia’, oltre ai numerosi aspiranti tali europei, c’è da consigliare un po’ di peraltro interessata attenzione a chi, oggi e domani, è chiamato a votare.

Una prova di libertà, che è ancora possibile in democrazia, è, per esempio il sito giornalistico statunitense che misura le asserzioni dei potenti e le loro confusioni, amnesie o pubbliche bugie con un divertente, ma chiaro termometro: PolitiFact (www.politifact.com).

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