L’APPROFONDIMENTO – Il soffio della natura
L’attuale civilizzazione urbana e’ il frutto evolutivo di migliaia di generazioni, che hanno vissuto il fluire delle svariate modalita’ sociali e culturali, la caccia, l’agricoltura, il villaggio e gli agglomerati difensivi.
Solo negli ultimi tre secoli ha prevalso la logica dell’industrializzazione, con il graduale trasferimento delle famiglie dalle campagne nelle città, che da piccoli agglomerati urbani sono cresciute fino a diventare grandi metropoli. Questa imponente trasformazione ha mutato i paesaggi, i ritmi e le abitudini di milioni di persone.
Negli ultimi decenni si fa diffusione planetaria della civilizzazione digitale.
Negli ultimi decenni si ha anche uno sviluppo senza precedenti, per rapidita’ esecutiva e imponenza costruttiva, della “urbanizzazione verticale”, in slancio competitivo tra diversi paesi, gia’ da tempo impegnati nello sviluppo di strutture minimali e modulari.
Si erge a simbolo di tale processo gli ottocento metri della torre del Dubai, cinque volte piu’ alta della piramide di Cheope.
Con gli attuali ritmi di sviluppo si stima che tra pochi anni il 70% della popolazione mondiale sara’ concentrato nelle citta’.
Quali sono i limiti della civilizzazione urbana?
Anzitutto la deprivazione di contatto diretto e intimo con la natura, talmente intenso e pervasivo da azzardare una similitudine con la carenza di contatto neonatale con la madre biologica.
La physis degli antichi greci fa parte della nostra esperienza quotidiana, non contrapposta ma integrata, attraversata da un unico principio, l’archè della realtà prima che sta alla base di tutte le cose.
La natura non e’ piu’ il riferimento di vita dell’epoca preindustriale, sostituita dai ben noti odierni meccanismi economico/sociali, quali l’utilizzo smodato dei mezzi di trasporto individuali, l’alimentazione con i prodotti fuori stagione, omettendo i giganteschi problemi ambientali e climatici, che lasciano margini strettissimi al crollo irreversibile del sistema.
Gli esseri umani sono “naturalmente programmati” per vivere a contatto con la natura, non da segregati.
Cio’ alimenta il conflitto tra le due istanze, della espansione urbana e del recupero delle tradizioni ancestrali della natura.
Ne fa fede emblematicamente l’interesse manifestato dalle nuove generazioni allo sviluppo delle attivita’ agricole e il piacere dei bambini di giocare all’aria aperta, fare gite in campagna, stare a contatto con gli animali, arrampicarci sugli alberi e rotolarsi nell’erba.
Il biologo Edward Wilson sostiene che insita nella natura umana, c’è un amore per la natura e un senso di connessione con l’ambiente, un bisogno della vicinanza di altri esseri viventi che ha le sue radici nel nostro patrimonio genetico e non è pensabile che un tempo infinitesimo, in termini evolutivi, basti a far piazza pulita di un’esperienza tanto radicata da far parte dell’inconscio collettivo.
Cio’ spiega come, sottostanti alle conquiste tecnologiche e sociali, si avverta un senso di crescente malessere, in ragione inversa alla diffusione dello stesso cosiddetto welfare.
Paradigmi secolari vengono sostituiti da ondate d’inaudita potenza tecnologica, con un meccanismo paradossale, che fa temere un prossimo fallimento della stessa nostra civilizzazione.
Mai come oggi l’umanita’ detiene gli strumenti per affrancarsi dal bisogno, per godere un empito di felicita’, mentre ogni conquista innovativa impone un “prezzo delle scelte” che ci allontana da quel traguardo.
E’ il paradosso matematico di Achille e la tartaruga, ove l’inseguitore non riesce a raggiungere il risultato inseguito, nemmeno suddividendone la distanza in passi sempre piu’ piccoli o sottili.
Vien da pensare anche all’effetto ubris degli antichi greci, la vendetta degli dèi come contrappasso alla tracotanza degli umani che, con la prevaricazione dell’ego, dimostrano disconoscenza dei propri limiti.
(continua)
Federico Ferraris, ingegnere e ricercatore