APOCRIFA – Diritto alle cure. No profit on pandemic.eu (1)
A fronte della obiettiva impossibilità che l’organizzazione produttiva sanitaria multinazionale, nelle attuali sue condizioni, riesca a far fronte in tempo utile, cioè quanto più possibilmente in breve, all’obiettivo di vaccinare la maggior parte della popolazione mondiale, onde prevenire il proliferare delle varianti e il rischio che Covid-19 diventi endemico in larghe parti del pianeta, la discussione sui diritti di proprietà dei vaccini è sfortunatamente affrontata quasi sempre in modo ideologico.
Intorno alla proprietà, appunto, e al profitto che ne consegue considerata la domanda tendente all’infinito, condizione che ogni produttore, di qualsivoglia bene, si augura per la propria azienda nei momenti di sogno i quali, nondimeno, qualche volta per qualcuno si realizzano anche.
Ma un discorso ponderato su di una visione lungimirante e conforme ad almeno qualche condizione che non rimanga circoscritta all’immediato e alla sua gestione porterebbe a superare, o quantomeno a mediare, la diatriba politico-ideologica limitata alla mera scelta binaria profitto giusto-profitto ingiusto.
Una proposta avanzata da India e Sud Africa di sospensione temporanea degli obblighi da brevetto per i prodotti anti Covid-19 nella prospettiva di raggiungere l’immunità di gruppo a livello mondiale è, allo stato, in corso di valutazione da parte della Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), già sostenuta da un centinaio di Paesi, ma non da quelli in cui sono attive le Big Pharma e, ancora, nemmeno dalla UE per intuibili, ma non necessariamente condivisibili, motivi di ordine commerciale nei rapporti con i Paesi produttori (USA e UK).
La Ue, per ora, si dibatte fra la sua incertezza politico-amministrativa e gli errori compiuti in fase di predisposizione della campagna vaccinale e la sua preoccupazione maggiore sembra essere raggiungere al più presto il numero più elevato possibile di cittadini: obiettivo concreto e apprezzabile, ma che, se rimane unico, presenta l’alto rischio di non guardare fuori dalla finestra.
Anche i cittadini europei in genere, oltre ai rispettivi governi, sembrano fermare le loro -peraltro fondate e motivate- preoccupazioni e angosce al raggiungimento dell’immunità in casa propria, come se il mondo si fermasse lì.
Un indicatore efficace dell’opinione pubblica attuale in Europa sull’argomento può derivare dall’osservazione di come proceda la ICE (‘Iniziativa dei cittadini europei’) NO PROFIT ON PANDEMIC.EU -Diritto alle cure- partita nello scorso novembre 2020 con gli obiettivi di:
- garantire che i diritti di proprietà intellettuale, compresi i brevetti, non ostacolino l’accessibilità o la disponibilità di qualsiasi futuro vaccino o trattamento contro la COVID-19;
- garantire che la legislazione dell’UE in materia di esclusività dei dati e di mercato non limiti l’efficacia immediata delle licenze obbligatorie rilasciate dagli Stati membri;
- introdurre obblighi giuridici per i beneficiari di finanziamenti dell’UE per quanto riguarda la condivisione di conoscenze in materia di tecnologie sanitarie, di proprietà intellettuale e/o di dati relativi alla COVID-19 in un pool tecnologico o di brevetti;
- introdurre obblighi giuridici per i beneficiari di finanziamenti dell’UE per quanto riguarda la trasparenza dei finanziamenti pubblici e dei costi di produzione e clausole di trasparenza e di accessibilità insieme a licenze non esclusive.
La ICE è uno strumento di democrazia partecipativa (sancito al Titolo II del TUE, Trattato sull’Unione Europea, articolo 11, paragrafo 4 e in altre fonti comunitarie) grazie al quale un milione di cittadini residenti in almeno sette degli Stati membri può invitare la Commissione a presentare una proposta di atto giuridico ai fini dell’attuazione dei trattati UE.
Premesso che i tempi necessariamente lunghi di questa procedura (la fine del periodo di raccolta delle manifestazioni di volontà è infatti fissata al 1-05-2022) non la rendono efficace per collaborare concretamente alla soluzione del problema proposto da India e Sud Africa (richiamato nel primo dei quattro obiettivi indicati dalla ICE), la reazione dei cittadini dei Paesi membri è però indicativa dell’orientamento delle rispettive pubbliche opinioni.
Ebbene (eci.ec.europa.eu) in soli pochi Paesi c’è stata una adesione significativa sebbene ancora ben lontana dal risultato: a parte il Belgio (che ha già superato la soglia minima, 162,33%), Italia (87,78%), Francia (57,12%) Irlanda (56,89) e Spagna (42,65%).
Può anche essere a motivo di scarsa conoscenza dell’iniziativa o di ancor più critica assenza di organizzazioni non governative disposte a promuoverne la diffusione, ma il risultato, ad oggi, è deludente sotto il principale e unico profilo che in effetti la ICE possa offrire al menzionato obiettivo 1): quello morale.
Si tratta, infatti, di una formale richiesta alla Commissione europea affinché anche l’Europa sostenga la proposta di India e Sud Africa per la sospensione temporanea dei brevetti onde la cura e i vaccini anti-Covid possano essere estesi a tutti ed equamente con particolare riguardo ai paesi più poveri e impossibilitati pertanto a sostenere le spese derivanti dai diritti di proprietà intellettuale delle case farmaceutiche.
In altre parole, ad acquistare i vaccini necessari a immunizzare le rispettive popolazioni. Il vaccino Pfizer costa in media 16 euro, mentre quello di AstraZeneca 2,80 euro, cifra questa che a noi pare anche, di primo acchito, contenuta, ma che va computata in rapporto ai numeri della popolazione e al reddito di quei Paesi.
Sul piano storico, nel recente passato il significativo e grave ritardo dovuto alla barriera dei brevetti farmaceutici nel rendere disponibili ai Paesi economicamente svantaggiati i farmaci generici per la cura dello Hiv ha causato milioni di morti a fronte di un ben diverso contenimento della mortalità verificatasi nei Paesi che potevano, viceversa, acquistare i farmaci specifici.
La Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) avrebbe spazio per accogliere la richiesta di sospensione temporanea in ambito, come segnalano gli esperti, dell’accordo Trips che fissa lo standard per la tutela della proprietà intellettuale: in sostanza per motivazioni basate sulla contingente emergenza sanitaria non dissimili dall’espropriazione (temporanea) dei diritti di brevetto per motivi di interesse pubblico.
LMPD
(continua)