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APOCRIFA – DDL n. 2005 (Zan & Zan)

Il Disegno di legge n. 2005 (Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità) attualmente all’esame del Senato deriva dall’unificazione in un solo testo di cinque diversi disegni sul medesimo oggetto approvato alla Camera in data 4 novembre scorso e il deputato padovano A. Zan, il cui cognome è comunemente usato per indicare il provvedimento, già risultava avere firmato, con numerosi altri colleghi, due precedenti.

E’ probabile che una certa fatica del testo unificato derivi anche dall’avere messo insieme  pagine originariamente scritte per essere autonome, ma questo non rileva se non come osservazione di contorno poiché le uniche parole che contano in una legge, e particolarmente in una legge penale, sono quelle che costituiscono la versione finale.

E’ infatti questa la legge che deve essere osservata da tutti i consociati, della quale non è ammessa l’ignoranza da parte di nessuno, la quale, uscita dal potere legislativo, è consegnata al potere giudiziario perché ne garantisca l’applicazione.

Risulta quindi di tutta evidenza che le medesime parole possono assumere un ben diverso peso e significato a seconda siano pronunciate o scritte fuori della norma oppure cristallizzate nella norma positiva alla quale non si può poi dare altro senso che quello palesato dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse (e dalla intenzione del legislatore, criterio molto scivoloso e poco attendibile ove ci sia una genesi poco lineare).

Il disegno di legge in parola coinvolge argomenti molto sensibili ed è quindi comprensibile diventi, in una comunità organizzata (sostanzialmente) democratica (ancorché migliorabile) come la nostra, oggetto di vivace dibattito.

Meno comprensibile, e meno utile per l’efficacia del dibattito, è che tenda a essere radicalizzata ideologicamente in un sistema binario di sì o no incapace di approfondimenti, ma prodigo di strumentalizzazioni e, come nel caso, di insulti. Ove anche parte della stampa, giusta il principio che i mosconi volano di preferenza sulla spazzatura, sguazza anziché aiutare a comprendere.

Proviamo allora, nel piccolo, a fare seguire alcune poche considerazioni cercando di ragionare sine ira et studio.

Il DDL, con gli articoli 2 e 3, apporta una modifica-integrazione al codice penale e precisamente agli articoli 604 bis e 604 ter (Dei delitti contro l’uguaglianza, sezione inserita dal d. lgs. n. 21 del 2018 che ha disposto i ‘delitti di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa’) aggiungendo ai già previsti motivi i nuovi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità.

Più in particolare l’art. 604 bis prevede oggi due diverse fattispecie, la prima a dolo generico e la seconda, più grave, a dolo specifico:

  • Propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico ovvero istigazione a commettere o commissione di atti di discriminazione per i motivi detti;
  • In qualsiasi modo istigazione a commettere o commissione di violenza o atti di provocazione alla violenza sempre per i medesimi motivi (razziali, etnici, nazionali o religiosi).

E gli articoli 2 e 3 del disegno, che vanno quindi a integrare, aumentandoli, i motivi su cui si basano le due anzidette comminatorie, hanno visibilmente la propria radice nell’articolo 3 della Costituzione: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Diversamente l’articolo 4 (Pluralismo delle idee e libertà delle scelte) del DDL introduce, anche a motivo di come è scritto e delle possibili interpretazioni cui può dare luogo, un fondato dubbio di illegittimità nella parte in cui si riferisce alla libertà di pensiero o libertà delle scelte purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori:

Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti.

A parte infatti il compimento di atti di violenza, mai ammissibile in una società civile, è necessario essere più chiari sul perimetro del lecito-illecito per quanto concerne la discriminazione, parola che per un certo suo utilizzo ha assunto un significato negativo in prospettiva politico-sociale, ma che significa, in realtà, anche altro.

E precisamente discrìmine (da discernĕre = distinguere) vuole dire distinzione, divisione, punto di separazione e quindi fa riferimento a una attività umana fra le più naturali e diffuse poiché connessa al ragionamento e alla libera facoltà di scelta che ne deriva: chiunque, nella vita quotidiana, regolarmente discrimina e a ogni livello.

Più nel merito, mentre gli articoli 2 e 3 del DDL sono volti a sanare una illegittima disuguaglianza davanti alla legge, l’articolo 4 può anche essere letto e interpretato come limitativo della libertà del singolo davanti a se stesso e questo non è consentito, a parte dal già richiamato e medesimo articolo 3 della Costituzione che vige ovviamente per ciascuno, anche da altri: si vedano a esempio gli articoli 2, 19, 21.

In altre parole il pluralismo delle idee e libertà delle scelte non sono da relegarsi, stiamo parlando sempre beninteso di ambiti personali e non di principi od ordine pubblico, al rango di mere declaratorie cui è inibito qualsivoglia effetto pratico, ma -per definizione- mantenuti suscettibili di scelte e di attività conseguenti e coerenti.

Diversamente è solo finzione.

Se le mie idee e le mie convinzioni (religiose, morali, filosofiche) di libero cittadino divergono da quelle dell’ambiente LGBT non solo ho il diritto di dirlo e di scriverlo, ma anche di comportarmi di conseguenza e quindi, nella specie, discriminare.

In altre parole ancora, se ritengo di preferire la famiglia quale emerge dal Vangelo piuttosto che quella arcobaleno ho, e mantengo, tutto il diritto di cercare di promuoverla presso mio figlio, mio nipote e chiunque sia il mio interlocutore in quel dato momento con il che all’evidenza determinando il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori, vale a dire di scelta consapevole diversa e contraria in base a uno specifico discrimine, i quali atti costituiscono peraltro proprio l’obiettivo specifico del mio operare.

Salvi rimanendo, come detto, i diritti riconosciuti all’insieme LGBT davanti alla legge e quindi a livello pubblico ed esclusa ogni forma di violenza.

E ancor più salve rimanendo, come sempre, le eventuali scelte personali attinenti alla civile convivenza, l’amicizia, i reciproci rapporti, il lavoro etc., ma per libera facoltà e non perché me lo impone una norma scritta in modo ambiguo.

La libertà non è mai a senso unico, se non nella mente di chi cerca di utilizzarne ipocritamente il simulacro in senso strumentale.

Discorso analogo, circa il rischio di letture devianti della norma, può essere fatto anche a proposito dell’articolo 7 (La Repubblica riconosce il giorno 17 maggio quale Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei princìpi di eguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione etc.) in particolare in rapporto all’offerta formativa delle scuole sia pubbliche sia, a maggior ragione, private e con specifici parametri civici e/o etico-religiosi formalmente adottati che costituiscono, sovente, il motivo per cui esse sono prescelte.

Ancora un’ultima (sempre per rimanere nell’estrema sintesi) osservazione di ordine generale: il riferimento alla disabilità compare nel titolo e negli articoli 2 e 3 (probabilmente il nucleo originale), ma non nell’ articolo 7 in cui, data la sua rilevanza, avrebbe non certo minore dignità in prospettiva di educare all’inclusione: basti appena considerare come sono proposti ai disabili i pubblici spazi (dagli uffici amministrativi alle strade urbane non di rado inattraversabili) e come sono le loro più elementari esigenze ancora trattate da troppa parte della popolazione abile.

LMPD

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