L’APPROFONDIMENTO – Storia di due assoluzioni
È terribile quando un ragazzo viene ucciso. Appena meno terribile è quando un ragazzo uccide.
In Italia è recentemente arrivata a termine la vicenda processuale di Alex Pompa e tutti abbiamo visto le immagini di un giovane con la faccia gentile che raccontava commosso il modo con cui aveva dovuto interrompere la storia di violenza domestica che aveva segnato per anni la sua vita. Siamo venuti a sapere come suo padre terrorizzava la famiglia e come lui e il fratello si erano dovuti assegnare il compito di difendere la madre facendo veri e propri turni di guardia in casa per fronteggiare le aggressioni.
In novembre si è conclusa anche la vicenda processuale del diciassettenne statunitense Kyle Rittenhouse. Questo ragazzo, nello scorso mese di agosto, aveva raggiunto Kenosha in Winsconsin per unirsi alle manifestazioni a seguito dell’uccisione da parte della polizia di un uomo dalla pelle scura, Jacob Blake. Nell’attuale contesto statunitense, dove un’aspra retorica contrappone il movimento “black lives matter” ai gruppi più conservatori, Kyle sentiva di essere chiamato a difendere coloro che percepiva essere minacciati dalle manifestazioni di protesta contro la polizia.
In questo video pubblicato su Twitter, il ragazzo dice che ci sono persone che vengono ferite e che il suo compito è quello di difendere la proprietà privata. Aggiunge che sente il dovere di portare il suo aiuto andando incontro al pericolo e che è per questo che ha con sé un fucile. Pochi minuti dopo Kyle sparerà a tre persone, uccidendone due e ferendo la terza.
Entrambe queste tragiche vicende si sono concluse con un’assoluzione giudiziaria. Ma chi è stato assolto?
Sono stati assolti questi ragazzi con il viso da bambini e con un cervello che i neuroscienziati ritengono ancora incapace di comprendere appieno l’irreversibilità della morte?
E che assoluzione è questa che lascerà comunque in loro un peso terribile da portare per il resto della vita?
O piuttosto c’è stata una vera e propria autoassoluzione delle nostre comunità, che non hanno saputo impedire a questi due ragazzi di impugnare un’arma e di compiere un gesto drammaticamente definitivo?
Pur tenendo conto delle grandi differenze che esistono tra questi due casi, accomunati solo dalla cronologia delle assoluzioni, sono evidenti le responsabilità omissive che hanno favorito il delitto di Collegno, dove la storia di prolungata violenza familiare è sfuggita a tutti i radar della protezione sociale, e le responsabilità commissive che hanno infiammato per anni la retorica violenta alla radice del triplice omicidio di Kenosha.
Quando una società non riesce a impedire ai ragazzi di uccidere perché uccidere per loro è diventata un’ineluttabile necessità, piuttosto che autoassolversi dovrebbe riflettere e riflettere a lungo.
Davide Caramella