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APOCRIFA – Lex Iulia maiestatis

Tacito, vissuto in tempo di tirannide imperiale, individuava l’inizio del declino della libertà a Roma in una legge risalente al tempo del primo principato dopo Cesare pur ancora in qualche modo coesistente con gli ultimi anni della repubblica: quello di Augusto.

Si trattava della Lex Iulia maiestatis, avente in oggetto il crimine di lesa maestà e cioè di qualsivoglia offesa o minaccia verso la figura del principe: mentre fino ad allora rilevanza penale avevano avuto solo le azioni, cioè i comportamenti traducentesi in fatti, con la nuova legge diventano perseguibili anche le parole e le opinioni espresse ove integranti offesa o minaccia, appunto, verso l’autorità del principe.

E chi dice se le parole integrano offesa o minaccia? Il princeps, ovviamente.

Non esistendo un perimetro di illecito più ampio, flessibile ed elastico di questa norma incriminatrice e per tale sua pragmatica disponibilità a essere applicata a posteriori a tutto con un’efficienza repressiva unica, essa è sempre stata adottata, anche senza conoscerne la genesi, dalle autocrazie illiberali in ogni tempo e in ogni parte del mondo.

Ovviamente ne è stata cambiata la denominazione modernizzandola sotto il profilo semantico: al posto della maestà (termine ipocritamente messo fuori catalogo, ma ognora presente nelle realtà fattuali) c’è il sovvertire o tradire o cospirare o realizzare propaganda e attività antigoverno, diffondere notizie false, pervertire i costumi della gioventù, peccare d’infedeltà al partito o allo stato o al popolo, indulgere al revisionismo o alla reazione e molti altri parametri: tutti però ugualmente ben indefiniti e indefinibili in quanto non mai fattuali, ma astratti e ideali e tutti ugualmente utilizzabili nella legge speciale, dato che la legge è un atto politico (Lenin).

L’autocrazia da sempre fonda il suo potere, in particolare occulto, sul delitto di opinione mediante il quale, con la forza, l’oppressione e l’inganno può agevolmente liberarsi di qualsivoglia avversario od oppositore o dissidente e per di più, particolare cui i tiranni politicamente corretti non rinunciano, inscenando formali procedure a senso unico, al pari delle elezioni manovrate, che scimmiottano a uso del pubblico di dentro e di fuori qualche forma processuale onde dimostrare, a chi ci crede o ci vuole credere, l’esistenza del diritto quale tradizionalmente ritenuto necessitare in una qualsiasi civilizzazione.

Senza ovviamente entrare né nel merito né, tanto meno, in particolari imbarazzanti.

Il tiranno, il despota, l’autocrate è sempre solo (sia esso imperatore romano, zar, capo sovietico o nazifascista, presidente, guida etc perché, se fossero in due, uno si mangerebbe l’altro) ancorché contornato da semi-uomini, servi e cortigiani e a questo proposito sono illuminanti, a esempio, le immagini pubblicate dalla stampa delle ‘riunioni’ del presidente della Federazione russa, unico presente davanti a grandi tavoli vuoti, mentre parla rivolto a enormi schermi sui quali contemporaneamente compaiono i suoi interlocutori pro tempore, pochi o numerosi secondo i casi.

Oppure le fotografie del presidente cinese, sobrio e controllato verso il sorriso, eletto per la terza volta consecutiva all’alta carica di segretario generale del PCC (c’è dal 2012), con i vertici politici del Paese tutti suoi alleati e tutti muti: risolto così alla radice ogni problema concernente potenziali diversità di opinione e stabilito che uno solo parla e agisce a nome e rappresentanza di un miliardo e quattrocento milioni di teste (stima NU). Non per nulla, riferisce la stampa, ha dichiarato: Avremo sempre il sostegno del popolo o qualcosa del genere: solo lui ha la capacità e il potere di conoscere il popolo e di interpretarne i voleri.

La biodiversità è una caratteristica riconosciuta positiva (a giudizio di almeno parte della scienza) per lo sviluppo degli insetti o dell’insalata, ma certo non della convivenza umana e della dinamica politica atteso che nella maggioranza dei casi, worldwide, essa è oggetto di attenta e minuziosa sterilizzazione.

Ovunque, nel mondo, la libertà è (sempre) in pericolo sebbene nell’ambito di scenari diversi che corrispondono, caso per caso, alle condizioni socio-politiche singolarmente esistenti.
A parte i luoghi (numerosi, grandi e piccoli) dove la libertà è proprio scomparsa e sostituita ad usum delphini da impropri e improbabili tetri succedanei (repubblica/popolare/democratica/federale/islamica etc), il rischio maggiore, là dove viceversa ancora essa esiste o resiste, proviene dalla contaminazione del potere politico con tendenze e volontà imperialistiche, in genere personali e non ancora necessariamente riferite, in questo caso, alla politica esterna, ma a quella interna: vale a dire azione di un governo aspirante nella sostanza al dispotismo, ipocritamente ammantato da attributi democratici, e al mantenimento in capo a se stesso e in particolare al medesimo soggetto dominante del potere con ogni mezzo.

Sempre e senza eccezioni protestando la necessità di agire per proteggere il popolo da pericoli regolarmente incombenti (per l’aspirante demo-autocrate lo scenario è costantemente caratterizzato da un’emergenza via l’altra che giustificano, e anzi invocano, il permanere e il rafforzarsi delle proprie salvifiche prerogative).

Le tendenze imperialistiche verso l’esterno sono già meglio note, ma non del tutto dissimili sotto il profilo della loro ratio operativa e delle rispettive giustificazioni.

La difesa della libertà è, inoltre, resa più ardua dall’atteggiamento di molti, e a volte troppo numerosi, concittadini i quali non la considerano un bene primario aspirando piuttosto a benessere, sicurezza di vita, briciole di potere o altri benefici promessi o in qualche modo anche elargiti dall’aspirante autocrate e dal suo cerchio magico.

Non pochi, talvolta, nutrono l’opinione (o la speranza) che siano possibili forme di accomodamento (semi-libertà) o di convenienza o di anche di convivenza con il tiranno (illudendosi che basti non fare politica per andare d’accordo), ma di norma questa è un’ombra sul muro perché il tiranno non autolimita il suo potere a priori: lo persegue o cerca di perseguirlo in toto e una volta conseguitolo intende tenerselo a ogni costo, in particolare altrui.

Contro l’imperialismo, sia interno sia esterno, e a difesa della libertà, sia interna sia esterna, vale il limpido ragionamento che Tacito (ancora lui) mette in bocca al capo dei Calédoni (Agricola, XXX) prima della battaglia contro i Romani e che, nel suo valore anche astratto, può assurgere a una sorta di parabola applicabile alla libertà in genere:

Oggi si apre a noi l’ultimo limite della Britannia…ma dopo noi nessun altro popolo, nulla se non flutti e scogli e i più nocivi sopra ogni altro, i Romani, della cui arrogante superbia non ti liberi nemmeno con la sottomissione e l’umiltà.

Predatori del mondo, dopo che a loro, ogni cosa devastanti, vennero meno le terre cercano ora bramosamente sul mare: se il nemico è ricco, sono avari; se povero, arroganti, essi che non l’Oriente e non l’Occidente può saziare: loro soli di ogni altro concupiscono con pari smania sia la ricchezza sia la miseria. Rubare, uccidere, rapinare chiamano con falso nome impero e addirittura dove fanno il deserto lo chiamano pace.

Essi facendosi illustri dei nostri contrasti e discordie trasformano in gloria del loro esercito i difetti degli avversari…e ora dunque andando allo scontro abbiate in mente i vostri avi e i posteri.

Questa parabola (magistralmente) comprende le condizioni utilizzate per attentare alla libertà come anche, in particolare, la giustificazione morale e civile della resistenza verso l’offesa recata o da arrecarsi alla libertà dall’autocrate o dall’aspirante tale.

LMPD

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