APOCRIFA – Cervelli guidati
La notizia, come talvolta accade, potrebbe di primo acchito essere considerata proveniente da un racconto di fantascienza per un primo d’aprile di un non meglio precisato anno solare.
Ma non è così: essa corrisponde alla realtà (quantomeno mediatica).
Un caleidoscopico miliardario statunitense, abile imprenditore capace di vendere il ghiaccio agli Esquimesi, allo stato attuale già imperatore di alcune favelle e da poco (anche) di neurotecnologie e inventore, per l’appunto, di ‘The Link’, ha presentato fra gli applausi a scroscio degli astanti, nel suo quartiere generale in California, un innovativo e ardito progetto per il quale risulta essere anche già stato inoltrato alla FAD (Food and drug administration, la agenzia federale che governa l’uso di farmaci) il fascicolo di documenti necessario all’autorizzazione di accesso alla fase sperimentale.
Si tratta dell’impianto di un microchip nel cervello umano allo scopo di produrre una stabile linea di contatto wireless (interfaccia) con uno specifico dispositivo esterno onde, facendo pervenire al cervello impulsi che per qualsiasi ragione questo non è (o più) in grado di realizzare, curare gravi e allo stato non altrimenti curabili infermità o disabilità legate a paralisi, traumi o degenerazioni.
Il progresso scientifico è, in sé, così incredibilmente rapido in ogni campo, quello della medicina compreso, che bisogna stare attenti a banalizzare una comunicazione consimile magari indotti, nel caso, dalle caratteristiche o dalle credenziali della persona che agisce poiché, in ogni modo, le potenzialità dei progetti e i loro avanzamenti non sono collegati solo alla serietà o alla visionarietà di chi li presenta o li imbonisce, ma ai massicci finanziamenti necessari a sostenerli. E chi ne dispone e ce li mette, ha più probabilità di altri di raggiungere l’obiettivo.
Chi ha qualche anno di esperienza di vita ricorderà senz’altro l’emozione mista a incredulità e speranza prodotta, nel dicembre del 1967, dalla notizia che Cristiaan Barnard, in un Sud Africa sperduto nell’apartheid che sarebbe stato di lì a pochi anni considerato crimine internazionale da parte delle Nazioni Unite, aveva al Groote Schuur di Città del Capo effettuato il primo trapianto di cuore del mondo, il cui esito durò diciotto giorni di vita aggiunta.
Il secondo trapianto, sempre a opera di Barnard l’anno seguente, si allungò a diciannove mesi e oggi, dopo poco più di cinquanta anni, ci ritroviamo in un secolo e un millennio in cui, rispetto al precursore, si supera anche la fantascienza dato che il trapianto di organi, e non solo di cuore, avviene quasi con la naturalezza con cui si porta in officina un motore la maggior difficoltà essendo forse la cronica penuria, per esiguità di donatori, dei pezzi di ricambio.
Quindi, nonostante la scienza medica seria mantenga, come giusto, una doverosa cautela davanti alla prospettiva del microchip come tutore dei miliardi non di dollari, ma di neuroni del cervello umano (85/100: stima) non è da escludere la reale possibilità (o probabilità) di giungere al dunque.
Un dunque che oltre a poter curare infermità oggi (ancora) irreversibili potrebbe, ancor prima, beneficiare qualche governo che (da sempre, ma oggi con il progresso ancor più: vedansi gli entusiasmi e i massicci investimenti per il controllo delle persone con le tecnologie digitali) sogna a occhi aperti la possibilità di tenere nel proprio recinto un gregge innocuo di sudditi telecomandati.
Rispetto ai quali, pensate, bastando e avanzando il fornire o mandare loro le istruzioni tecniche necessarie a svolgere il lavoro attribuito si potrebbero anche risparmiare ingenti spese pubbliche di istruzione (e i connessi rischi di pensiero autonomo) avendo quindi, a parità di condizioni, molti maggiori fondi da investire, per esempio, in armamenti ancor più sofisticati ed efficaci e nella conquista dello spazio onde essere in grado di allargare i lucrosi conflitti al di fuori degli angusti limiti dell’orbe terraqueo che, essendone ormai colmo, fatica assai ad accettarne altri.
Non parliamo però di promotori noti o men noti di siffatti scenari, ché saremmo nel campo dell’imponderabile e il discorso finirebbe, ma piuttosto ancora un minuto della cosa in sé, vale a dire del progetto telepatia a scopo di cura o di rigenerazione traguardandolo al momento, forse anche prossimo, in cui esso sia veramente possibile senza pericoli diversi da quelli di un normale trapianto d’organi.
Nessuna innovazione, nelle scienze mediche, è senza rischi (ed è stato anche detto che la medicina progredisce sui morti, ma questo è in re ipsa, secondo una nota definizione giuridica) e il difetto (chiamiamo così il rischio) può essere tenuto sotto controllo, ma non eliminato e comunque la giustificazione sarebbe in ogni caso giungere a salvare in prospettiva molte più vite di quante eventualmente non si perdano nella messa a punto degli interventi.
Onde è pacifico che se l’intervento del microchip cranico prometterà bene in (ragionevole) buona fede sarà certamente una via da percorrere nella (ragionevole) speranza di soccorrere vite altrimenti precarie e ben peggio.
Saranno però da risolvere, quantomeno, alcuni interrogativi:
Come si governa con ragionevole certezza lo scorrere del progresso tecnologico (anche) dei chip cerebrali e dei relativi software-hardware fonti dell’interfaccia e dei necessari colloqui wireless?
Oltre a revisioni e aggiornamenti che si inseguono sempre più rapidamente, le apparecchiature invecchiano e sono regolarmente fatte gettare e sostituite con altre sempre più nuove (vedi e. g. i telefoni portatili, gli smartphone e apparecchiature, anche mediche, in genere).
Come si garantisce con ragionevole certezza la continuità o assistenza terapeutica per i soggetti portatori?
Coloro che, negli USA, si fecero impiantare la retina artificiale, per esempio, ora si trovano nella delicata situazione che la casa produttrice abbia per ragioni economiche e strategiche abbandonato il settore (e di conseguenza loro medesimi).
L’imprenditoria privata è bella ed efficiente, ma segue con attenzione indefettibile la money stream, mentre quella pubblica, ammesso che sia in grado di operare, è condizionata dai partiti o capi di turno (pro-tempore).
Nondimeno allo scopo non si riesce, forse, a immaginare niente di diverso da un servizio di sanità pubblica finanziato, organizzato e controllato nel modo più concreto a livello pubblico.
E infine, a parte tutto (garantendo cioè in qualche modo -ancora da inventare, ma non mettiamo limiti né alla fantasia né alla provvidenza, parlando ovviamente di quella umana– la soluzione a quanto precede) e a parte anche il profilo socio-politico, ma rimanendo solo sul piano etico e morale ecco un domanda imbarazzante.
Quali infatti, in una società che ha scacciato anche il Figlio di Dio ritenendo di poterlo meglio sostituire con i suoi leaders e maître à penser, saranno i custodi del sistema allo scopo di evitare la (facile e probabile) devianza indotta dall’attrazione irresistibile esercitata dalla prospettiva del potere?
E poi, in particolare, chi mai custodirà i custodi medesimi?
Il buon Giovenale, autore del celebre interrogativo (… sed quis custodiet ipsos custodes? Satira VI), che ce l’aveva su con le donne romane da lui considerate altrettante viziose e sfrenate Messaline e, ben prima di lui, il buon Platone che nel Repubblica sembra dare per scontato come sia certamente ridicolo che un custode abbia bisogno di un custode rischiano di fare a confronto, essi che pur vivevano in tempi non facili, la figura di velleitari e inermi ingenui.
Mentre sarà invece necessario, a motivo delle possibili o probabili cupe e anche difficilmente reversibili devianze politico sociali sopra accennate, garantire che il sistema non esca comunque da un perimetro medico scientifico strettamente sorvegliato e protetto costantemente con una efficace cintura socio-sanitaria a tolleranza zero onde mantenerlo indenne da incontri ravvicinati con uno stuolo di soggetti poco raccomandabili, ma costantemente in servizio permanente: l’autocrate rampante, lo scienziato servo della propria ambizione o del potente di turno, il CEO affamato in sindrome di astinenza, il raccoglitore o rampicante con mano in campo altrui.
Oltre ai consueti caimani e avvoltoi, iene e sciacalli, ladri di professione o d’occasione cui si è per disgrazia tanto adusi da non considerarne quasi più l’esistenza.
Bastardi senza onore di tutto il mondo uniti nell’impresa più sporca (ma non più difficile) di ogni altra: togliere la libertà ai propri simili.
LMPD