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APOCRIFA – Albori del pensiero (1)

La maggior attenzione su qualcosa sorge quando il qualcosa scarseggia e così nell’attuale periodo di innaturale riscaldamento climatico, davanti al calo delle precipitazioni atmosferiche e alle difficoltà agricole oltre che alla desolazione, materiale e spirituale, del progressivo aumentare di zone aride ci si preoccupa (finalmente, ma non ancora abbastanza: v. lo stato di manutenzione degli acquedotti) dell’acqua.

L’acqua corrisponde alla vita, giacché ne è condizione essenziale, e non v’è alcuno che osservando la metamorfosi inversa del deserto in zona verde, là dove sia possibile estrarre o disporre di acqua, non se ne convinca.

Ma certo questa conoscenza, sebbene in forma più istintiva che razionale, risale a tempi non differenti da quelli del primo uomo.

Per quanto concerne la storia umana che usualmente si conosce meglio, non per niente  la vita fiorisce in quel grande semicerchio (Elam, Mesopotamia, Assiria, Fenicia, Palestina, Egitto) irrigato da Tigri, Eufrate, Giordano e Nilo che fu poi denominato, negli anni ’20, Mezzaluna Fertile ove nacquero (i Sumeri si svilupparono in Mesopotamia nel V millennio a. C.) la civiltà stanziale dell’agricoltura e l’organizzazione dello stato. 

Fin dal principio le opere minuziosamente attente, laboriose e pazienti di raccolta e trasferimento dell’acqua, cui era altresì accreditato un valore divino, a scopi irrigui e alimentari furono appannaggio di una ingegneria idraulica ante litteram intuitiva e sperimentale della quale si possono ammirare ancora oggi esempi validati nei secoli nelle oasi ove non è presente energia elettrica.

Nel primo anno della venticinquesima olimpiade si dice essere la nascita, a quanto consta, del primo uomo che, pensando, giunse all’analisi e alla considerazione dell’acqua sotto il profilo non più solo della necessità esperienziale, ma anche scientifico e filosofico: Talete di Mileto che ritenne l’acqua il principio di tutto.

La filosofia occidentale ha origine nelle colonie greche ioniche dell’Asia Minore con i primi pensatori di cultura e lingua greca, fra il VI e V secolo a.C., detti presocratici in quanto precedenti a Socrate e Platone suo discepolo, i quali in coraggioso conflitto con le tradizionali e diffuse concezioni mitologiche del mondo si impegnarono ad affrontare razionalmente indagini e meditazioni circa basilari domande che, da allora, continuano a proporsi all’uomo: il principio delle cose (arché), il mondo (còsmos), l’anima (psiké), i fondamenti della natura, la vita delle creature, i fenomeni e loro principi, la conoscenza, la morale (etikòs).

Talete, conosciuto (come anche altri pensatori) unicamente per il tramite di quanto hanno scritto e tramandato delle sue ricerche, dottrina e scienza autori posteriori, è considerato il primo filosofo nonché iniziatore della filosofia greca ed è figura multiforme e affascinante intorno alla quale, e al relativo contesto, è naturale soffermarsi alquanto anche per intravedere il primo sorgere dell’epoca alla quale appartiene e da cui discende, in aggregazione poi con il cristianesimo, la nostra civilizzazione attuale. 

Talete è il primo nel tradizionale elenco dei Sette Sapienti (o Saggi) la cui prima elencazione sembra risalire a Platone (nel Protagora) e il numero sette, tendenzialmente sacrale, riveste valore  connotato al culto di Apollo, dio della sapienza delfica alla quale si ricollega direttamente, tra l’altro, una delle più note sentenze del medesimo Talete (“Conosci te stesso” “Gnòthi seautòn“) scolpita all’entrata del tempio panellenico di Apollo a Delfi: il monito dell’oracolo circa la misura mortale di ciascuno (donde poi la riflessione su sé medesimi indicata da Platone) e la conseguente necessità di governare la vita regolandone con saggezza, moderazione e parsimonia il comportamento etico, condusse Socrate a conoscere e dichiarare la propria non conoscenza. 

Secondo Diogene Laerzio -lo storico greco autore della monumentale (10 libri) opera Vite e dottrine dei filosofi illustri in cui espone profili e opere dei pensatori, dai Sette Sapienti a Epicuro- per primo egli, Talete, fu chiamato sapiente all’epoca di Damasio arconte in Atene (582-81). 

Gli antichi discutevano se fosse stato un esiliato fenicio accolto con il riconoscimento della cittadinanza nella brillante città di Mileto oppure nativo di Mileto. 

In entrambe le ipotesi l’origine sarebbe adeguata alla statura del personaggio.

I Fenici (Phòinikes) erano una popolazione cananea, sostanzialmente radunata in potenti città-stato costiere, di instancabili e capaci navigatori stanziata dal 1200 a.C. nella fascia del Mediterraneo orientale corrispondente a Libano, Siria meridionale e Israele settentrionale, da Acri a Gaza, che percorrevano il mare a scopi di scambi commerciali e anche di espansione coloniale esportando prezioso legname di cedro, con il quale fabbricavano le navi più belle e capaci del tempo (le pentecòntere, a vela e remi, utilizzate per scopi sia bellici sia di trasporto da cui derivarono le biremi e le triremi adottate dai Greci) e altri beni come avorio e tessuti e, in particolare, porpora, universalmente ricercata sostanza colorante dalle molte tonalità (dal rosso cupo al violaceo passando, con opportuni accorgimenti per lilla, giacinto e ametista) ricavata dalla lavorazione a livello industriale ante litteram dei gusci dei murici, molluschi che erano estratti in gran quantità dai bassi fondali mediterranei.

Il collegamento in reciprocità fra quella gente di mare e il mollusco (phoìnix) era tale che Phoinìkes indicava il popolo e Phoinìke il loro territorio. 

Essi avevano ideato, come sembra, il primo alfabeto fonetico, che fu poi adottato dai Greci i quali aggiunsero nuovi suoni e in particolare le vocali che nella lingua semitica non c’erano.

E sopra a ogni altro conoscevano l’arte della navigazione e in particolare notturna in virtù dei riferimenti conosciuti e usati per il tracciamento delle rotte rispetto alle costellazioni che nel buio rimangono sempre al di sopra dell’orizzonte (circumpolari). A Talete, fra l’altro, non per nulla è accreditata la scoperta dell’Orsa minore (che in greco antico era ancora Phoìnix).

Scrive in proposito nei Giambi il poeta e filologo Callimaco di Cirene, bibliotecario presso la celebre Biblioteca di Alessandria: E si diceva che avesse fissato/la figura stellata del carro, con la quale i fenici guidano le navi.

 

LMPD

(continua)

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