APOCRIFA – Albori del pensiero (2)
E a proposito della loro (dei Fenici) ben nota abilità marinara Erodoto racconta come anche Serse, il Gran Re, all’indomani della seconda invasione persiana contro la Grecia, quando doveva spostarsi per mare lasciava perdere i numerosi galleggianti riccamente decorati che gli mettevano a disposizione i suoi satrapi e si fidava unicamente di navi ed equipaggi fenici.
Le rotte fenicie, tendenzialmente di lungo e lunghissimo cabotaggio, si irradiavano in due principali direzioni: a nord lungo la costa meridionale dell’Asia Minore con Cipro fino a Creta e a sud lungo la costa settentrionale dell’Africa toccando Delta del Nilo, Cirene, Leptis, Sicilia, Cartagine, Sardegna, Corsica meridionale, Tingis/Tangeri, Gadir/Cadice e fuori dalle Colonne d’Ercole/Gibilterra.
Sempre Erodoto scrive ancora che i Fenici furono i primi a circumnavigare il continente dell’Africa partendo dal Mar Rosso e rientrando nel Mediterraneo dalle Colonne d’Ercole.
La spedizione durò tre anni e fu finanziata dal faraone Necao II (Necho) (610-594 a.C.), colui che sconfisse Giosia, il re santo di Giuda restauratore del culto del Signore, sulla piana di Megiddo che in ebraico è chiamata Armagedon (qui vocatur hebraice Hermagedon, Apocalisse 16,16) fra il passo del monte Carmelo e la Via del Mare che conduceva dall’Egitto alla Mesopotamia.
Ma i viaggi fenici non si fermano qui e altre destinazioni furono: la costa atlantica dell’Africa, il Mar Rosso e forse anche l’Oceano Indiano.
Il primo Libro dei Re (9, 26-28) scrive che Salomone (XI-X secolo a.C.) costruì una flotta in Esion-Ghèber, presso Elat, sulla riva del Mar Rosso, nel territorio di Edom e che Chiram, re della fenicia Tiro, il quale già aveva fornito a Salomone i cedri e i cipressi per la costruzione del tempio e della reggia in Gerusalemme, inviò alla flotta i suoi servi, marinai che conoscevano il mare […] Andarono in Ofir e di là presero quattrocentoventi talenti d’oro e li portarono al re Salomone.
Questa terra chiamata Ofir, sulla quale non sono forniti dettagli, sembra identificabile con Somalia, Yemen o isola dell’Oceano Indiano.
Altra ipotesi, come già accennato, è che Talete fosse non esule fenicio, ma proprio originario di Mileto, ma anche in questo caso piove sul bagnato: Mileto era infatti una colonia ionica famosa nel mondo antico per la vita intellettuale e politica come per le rilevanti capacità economiche.
La città era edificata sul mare, davanti e vicina all’isola di Samo, altro insediamento ionico celebre a motivo di filosofi e scienziati (fra cui Epicuro e Pitagora) oltre che per le naturali capacità nautiche (un suo navigatore si racconta abbia passato per primo le Colonne d’Ercole), e costituiva anche punto di arrivo di una trafficata carovaniera proveniente dalla Mesopotamia onde il suo porto era snodo importante per il traffico commerciale sull’Egeo e per fitte relazioni di scambio con l’Occidente.
Mileto, alla foce del lungo fiume Meandro, era di fronte a quel promontorio di Micale ove si svolse la battaglia che, con quella di Platea in Beozia, pose termine alla seconda invasione e guerra persiana e alle mire imperialistiche del Re dei Re achemenide sulle libere pòlis greche.
Micale era già da molto tempo importante come centro religioso comune delle città ioniche della costa occidentale anatolica le quali vi avevano fondato il santuario Panionion (dedicato a Poseidone, il dio del mare), luogo deputato alle celebrazioni religiose, feste e assemblee politico-militare e riservato unicamente ai componenti della alleanza della Lega Ionica, costituita dalla federazione nota come Dodecapoli, dodici città costiere da Mileto (a sud) fino a Focea (a nord) che avevano alle spalle, in terraferma, le regioni rispettivamente della Caria e della Lidia: Mileto, Miunte, Priene, Samo, Efeso, Lebedo, Colofone, Teo, Clazomene, Chio, Eritre e Focea.
Secondo Erodoto gli Ioni delle colonie anatoliche percepivano, in base a una coscienza condivisa, una comunanza etico-culturale (radici, religione, storia, politica, economia etc) fino al punto che egli indicava come ‘Unione degli Ioni’ (Koinòn ton Ionòn) l’assemblea delle rispettive città-stato, qualificandole in altri termini proprio al pari di singoli ‘stati’, quali nella realtà del tempo esse in pratica erano: rispettivamente sovrane, autonome, libere nel culto e nelle attività economico-commerciali oltre che nei rapporti reciproci come con il contesto esterno (Persia, Egitto, Grecia etc).
Fu proprio Mileto a inaugurare, a motivo di comprensibile realismo e lungimiranza, un’alleanza (rectius: unione con garanzie di autonomia) non altrimenti rinviabile con l’ingombrante e minaccioso vicino achemenide, il cui impero si estendeva dal mare fino all’India, e fu Mileto allorché, da un lato, la satrapia persiana territoriale essendo divenuta troppo invadente e, dall’altro, le fortune politiche del proprio tiranno (Aristagora, a suo tempo intronato nel potere cittadino dai Persiani) venute meno inducendolo al tentativo di restaurarle (come sovente accade nella storia) con temerarie operazioni militari ad hoc, a dare ispirazione, forma e inizio alla rivolta ionica.
La quale peraltro non bene organizzata e inoltre indebolita da discordie interne (condizione non nuova per l’individualista anima greca), dopo la iniziale presa e incendio di Sardi, capitale della satrapia della Lidia, da parte dei Greci, atto che causerà la vendetta di Serse con la invasione della Grecia continentale, fu poi stroncata con la vittoria persiana sul mare all’isola di Lade, proprio davanti a Mileto, cui seguì anche la distruzione del Panionion sul Micale.
LMPD
(continua: la prima parte dell’articolo è stata pubblicata sul n. 215)