L’APPROFONDIMENTO – Bipedismo
La nostra sbadata arroganza ci fa credere di essere gli unici bipedi sulla Terra, o comunque quelli di gran lunga più rappresentativi. In realtà il bipedismo si è evoluto più volte e in maniera indipendente nel corso della storia della vita sulla Terra e ha portato alla comparsa di molti bipedi di successo, molti dei quali ci predatano di milioni di anni.
In natura, quando un tratto emerge in modo indipendente – in periodi diversi e in luoghi diversi – senza un antenato comune, vuol dire che la pressione selettiva a suo favore è molto forte e che quel tratto conferisce agli organismi che ne sono portatori migliori chance di sopravvivere fino al momento di riprodursi rispetto a quelli che non ce l’hanno.
Naturalmente l’evoluzione non opera in modo immediato trasformando un quadrupede in un bipede in poche generazioni. Al contrario, sono necessarie numerosissime generazioni per rendere possibile tale trasformazione, che richiede – strada facendo – tante piccole modificazioni utili per la piena espressione del tratto e per controbilanciarne gli svantaggi.
I bipedi che hanno avuto il più straordinario successo evoluzionistico sono quelli discendenti dagli unici dinosauri sopravvissuti all’evento catastrofico di 65,5 milioni di anni fa. Si tratta degli uccelli che, avendo sviluppato la deambulazione al suolo sugli arti posteriori, hanno potuto evolvere ali a partire dagli arti anteriori. Ma l’emergenza delle ali ha richiesto la comparsa in successione di tratti intermedi utili già di per sé, sebbene non ancora capaci di conferire tutti i vantaggi legati alla presenza di ali adatte al volo.
Si ipotizza che arti anteriori piumati siano serviti in itinere per garantire migliore equilibrio nella deambulazione bipede in tratti impervi, per planare da punti scoscesi, per elevarsi in brevi voli durante la fuga da un predatore. Nel frattempo, l’evoluzione selezionava i tratti ulteriori che si dimostravano capaci di far emergere la capacità del volo di lunga durata. Grazie a tutto ciò, oggi gli uccelli prosperano in quasi tutti gli habitat del nostro pianeta.
Anche sull’evoluzione del nostro bipedismo le cose sono un po’ più complicate di come si pensava fino a poco tempo fa. Infatti sono stati recentemente scoperti tratti anatomici correlati al bipedismo già in fossili di primati arboricoli vissuti prima della separazione della nostra linea evolutiva da quella degli scimpanzé.
Tali caratteristiche erano utili a quegli animali per muoversi sui rami degli alberi camminando sulle zampe posteriori.
La pressione selettiva dell’ambiente ha lavorato su questi tratti in modo diverso: nelle zone di foresta tropicale li ha ostacolati innescando l’evoluzione verso gli attuali scimpanzé, nelle zone aride – specie in Africa Orientale – li ha favoriti innescando l’evoluzione verso Homo Sapiens.
Più in dettaglio, l’aridità che 7 milioni di anni fa si è stabilita in Africa Orientale in conseguenza della glaciazione, ha portato alla rarefazione degli alberi con conseguente ampliamento della savana. Per sopravvivere in questo nuovo ambiente, i nostri progenitori hanno dovuto continuare a evolversi per estendere una saltuaria deambulazione bipede sui rami degli alberi a una più duratura deambulazione bipede nella savana.
Questo progressivo adattamento al bipedismo esclusivo – a fronte di indubitabili vantaggi senza i quali il tratto non sarebbe stato selezionato – ha fatto emergere numerosi svantaggi che non esistevano in precedenza, uno dei quali è stato l’incremento delle cadute.
Un primate che utilizza i due arti anteriori per altri scopi (difesa, trasporto e cura dei figli, comunicazione e socializzazione intraspecifiche, produzione e uso di strumenti) ne ha inevitabilmente sottratti due a una stabile deambulazione, che resta affidata ai soli arti posteriori.
Quindi la maggiore vulnerabilità alle cadute fa parte del costo biologico pagato dai nostri antenati per la transizione al bipedismo e nell’attuale antropocene ci stiamo ulteriormente complicando la vita.
Infatti l’urbanizzazione sempre più spinta ha determinato un aumento delle cadute che sono diventate più probabili e che hanno conseguenze più gravi in tutte le fasce di età. Oggi le cadute sono responsabili della morte di più di 650.000 persone l’anno a livello globale, con un incremento che negli ultimi 20 anni è stato superiore al 50%.
E l’antropocene sta interferendo anche con le possibilità di sopravvivenza di quegli altri bipedi di successo che sono gli uccelli: infatti il sempre più esteso utilizzo di superfici trasparenti negli edifici delle città moderne inganna la vista di questi animali e si stima che circa un miliardo di uccelli perdano la vita ogni anno solo negli Stati Uniti per la collisione contro i vetri.
Davide Caramella