APOCRIFA – Pro o contra
E’ scritto nell’editoriale che si fa in questi giorni memoria di Natale, un avvenimento apparentemente lontano, distante una manciata di secoli che la attuale prospettiva di un tempo sempre più accorciato dai mezzi e dalle disponibilità tecnologiche fa sembrare quasi preistorico.
Sembra corretto parlare di memoria rispetto a un evento concreto che, nel fluire della storia, è avvenuto una volta, irripetibile come ogni evento, e sembra parimenti corretto, anzi giusto, considerare il medesimo evento sotto il profilo di una realtà sbocciata al di fuori del tempo e che persevera nel suo essere e divenire.
Indipendentemente dalla considerazione riservatale da coloro pro tempore viventi e dal loro ricordo sovente rivolto altrove.
Natale è una nascita, un sorgere che ha cambiato per tutti, volenti o nolenti, la storia e talune fra le più importanti prospettive della vita degli uomini: è memoria dell’avventura terrena di un profeta potente in comportamento e parola, oltre che filosofo e maestro come non se ne trovano altri il quale, per i credenti, costituisce oltre a un annuncio di prospettiva incomparabile anche il segno del mistero dell’accesso fisico di Dio nella realtà della terra.
Di un Dio al contempo nascosto e presente che rovescia ogni orizzonte delineato o supposto dalla saggezza teologica e filosofica umana con la forza del proprio genio e spiana ogni barriera o steccato ideologico rivelandone l’inutilità o la inadeguatezza.
Di un Dio che sfugge alle certezze e si ritrae dal farsi prendere le misure per il tramite di prove, pro o contra che s’intendano, e che lascia alla libertà delle creature la scelta -non necessariamente contingente, ma anche in itinere- più importante della propria esistenza: cercare la via del cielo o non cercarla.
E che in ogni caso sfugge, anche e in particolare, al confronto dei numeri potendo ‘essere’ (continuare a essere) nonostante la chiesa vuota e convinzione ablativa o disinteresse della maggioranza.
A fronte delle prove, che peraltro tali non sono, di chi cerca di sostenere l’esistenza di Dio stanno, in tutta la loro ingenuità, le asserzioni di coloro che vantano la propria certezza di tornare, con la morte, nel nulla e di non avere quindi alcuna né speranza né preoccupazione.
Asserzioni che si basano sul niente o, per meglio dire, su nient’altro che una speranza: di segno opposto.
L’esistenza di Gesù uomo, profeta e maestro non è contestata, ma riconosciuta praticamente da chiunque laddove è duramente contestata e negata la sua divinità e il suo rapporto diretto con Dio.
Ma per coloro che, anche con il cuore a preferenza della ragione sulle orme di Pascal, hanno scelto di riconoscerlo, ecco dunque come sia ad essi umanamente vicino l’ispido Battezzatore il quale, pur consapevole di essere stato il precursore, nondimeno a fronte di una realtà tanto stravolgente (e nemmeno immaginabile) di quanto avviene per Gesù si risolve a fargli domandare se sia proprio lui quello che deve crescere e a fronte del quale lui stesso diminuire.
Giovanni, nelle parole neo-testamentarie la cui ri-lettura porta spesso a cogliere aspetti precedentemente non osservati, è rappresentato come un ruvido predicatore vestito di pelli di cammello e avente a nutrimento miele e locuste che i lettori per lo più tradizionalmente interpretano come segno di astinenza ed eremitico sacrificio.
Può certo essere, ma c’è anche la probabilità che fin già nel precursore sia delineata quella scandalosa rottura con regole antiche e rovesciamento del concetto di purità, da formale a sostanziale, quale sarà poi scandita da chi viene dopo di lui.
A Qumran, per dire, andavano vestiti di puro lino e curavano rigidamente la purità alimentare, così come in genere nell’ebraismo dell’epoca tanto che s’accendevano di continuo drammatiche dispute sull’argomento.
E a fronte di chi giudicava peccato prendere cibo con mani impure o non avendo lavato il piatto, il profeta ribatte che nulla dal di fuori può contaminare l’uomo quanto piuttosto ciò che esce dal suo cuore.
A maggior ragione la figura di Gesù si presenta, oggi, di incommensurabile altezza rispetto al pensiero moderno che è razionale e che, viceversa, crede di potere misurare e determinare tutto.
Gesù sottolinea ai messaggeri inviatigli, discepoli di Giovanni, che beato è chi non si scandalizza di lui e del suo operare ed è proprio questo, invero, lo scandalo che allontana tanti moderni da Dio o li rende razionalmente increduli: un Dio che non rimane all’altezza divina, come converrebbe e ci si aspetta, ma si abbassa.
Un Dio che si piega sui poveri diavoli dell’umanità sofferente, sul duolo senza fine della terra e che non rimane, come opportuno e dovrebbe dalla parte dei re e degli imperatori, ma passa e rimane fra la moltitudine di coloro che non hanno né voce né potere.
E che neppure si accontenta di rimanere fra i suoi del popolo scelto, tutto sommato quattro gatti, ma va incontro ai pagani e osa proclamare che, nell’intero Israele, mai ha incontrato una fede pari a quella di un centurione, rappresentante del destato invasore, cui ha guarito il servitore.
Altro che rovesciamento di prospettive e pericolo per le istituzioni!
Istituzioni di ieri, oggi e domani: il superamento delle ideologie necessarie alle barriere e ai confini che fanno grandi (e sempre di più come la rana di Fedro) i padroni della terra e fino al punto, di non ritorno, marcato dall’esaurimento delle differenze fra chi è (o si crede) dentro e chi è (o è tenuto) fuori.
Uno dei profeti che maggiormente anticipa qualcosa intorno a Gesù, Isaia, così giunge a presentare il persiano Ciro: mio eletto, io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca. Con ciò sottolineando ampiezze ignote e impensabili oltre a pervasività misteriose del procedere divino nella vita, pur nella oscurità restando la arrogante conoscenza degli uomini e nonostante la loro ignoranza.
Così anche oggi che -al pari di ogni tempo- gracidano, come è evidente, moltitudini di cornacchie e corvi e rapaci e predatori senza onore né patria, sempre nemici fra loro fuor che nella pratica dell’ assassinio e della menzogna, Natale, che tutto è salvo la mercificazione di un simbolo per molti senza senso, è sempre di più in grado di illuminare quel tanto, quanto basta, il cuore di chi liberamente lo sceglie.
Libertà è, al contempo, dono o destino (fino a condanna) della creatura: chi guarda al mistero di Betlehem e chi guarda, nell’affollato rumore, a prolungare uno dei tanti black friday nel tentativo di riempire vuoto e assenza con la luce dei fuochi artificiali.
LMPD