DE LITTERIS ET ARTIBUS – Il cinema ritrovato – La grande abbuffata (La Grande Bouffe) di Marco Ferreri (1973)
La grande abbuffata (La Grande Bouffe) di Marco Ferreri (1973)
Ci troviamo di fronte a quattro uomini borghesi, professionisti di successo ma infelici e fortemente insoddisfatti, eccoli: Ugo (Tognazzi), proprietario del ristorante “Le Biscuit à Soupe” e grande chef; Michel (Piccoli), regista e produttore televisivo, appassionato di danza classica e divorziato; Marcello (Mastroianni), pilota dell’Alitalia e Philippe (Noiret), importante giudice, scapolo, che vive ancora con la sua balia d’infanzia Nicole, iperprotettiva con lui al punto di cercare di impedirgli di avere rapporti con qualsiasi altra donna.
I quattro amici decidono di finire i loro giorni in una sorta di esilio volontario in una villa decadente alle porte di Parigi, di proprietà di Philippe, dove il vecchio guardiano Ettore ha già predisposto tutto per la grande abbuffata, con il prologo della scena iniziale in cui il pilota Marcello è intento a far scaricare dalle hostess dell’aereo delle forme di Parmigiano destinate alla villa in cui dovrà ritrovarsi con gli altri tre amici.
Una volta rimasti soli, i quattro cominciano la loro abbuffata ma vengono interrotti il giorno dopo dall’arrivo di una scolaresca che vorrebbe visitare il giardino della villa per vedere il famoso “tiglio di Boileau”, albero sotto il quale il poeta francese era solito sedersi in cerca di ispirazione.
I quattro accettano volentieri di far visitare il giardino e offrono da mangiare a tutta la scolaresca, e soprattutto conoscono Andrèa (Ferréol), la giovane e formosa maestra, che viene invitata a cena per quella sera; in precedenza i quattro avevano invitato tre prostitute le quali, però se ne erano andate subito dopo essere arrivate alla villa sconcertate dalla morbosità culinaria che avevano visto.
Invece Andrèa rimarrà per tutto il tempo con i quattro, concedendosi anche sessualmente, fino alla morte di tutti.
Il primo a morire è Marcello il quale, esasperato e sostenendo che non si può morire mangiando, decide di lasciare la villa nottetempo e avrà un incidente mortale in mezzo a una bufera, a bordo di una Bugatti degli anni ’30 che era custodita nel garage della villa e che Marcello stesso aveva rimesso in moto.Gli amici lo ritrovano il mattino dopo, morto al posto di guida, e, su consiglio di Philippe, lo sistemano nella cella frigo in modo tale che resti ben visibile a tutti dalla cucina.
Dopo Marcello è la volta di Michel ormai satollo di cibo all’inverosimile che, non riuscendo nemmeno più a sollevare le gambe e ad esercitarsi nella danza, muore in preda a un attacco di dissenteria.
Gli amici anche in questo caso lo sistemano nella cella frigo, accanto a Marcello.
Dopo tocca ad Ugo, che s’ingozza fino a morire di un piatto a base di tre tipi diversi di fegato (d’oca, di pollo e d’anatra), a forma del “Cupolone di San Pietro” da lui stesso preparato, e su consiglio di Andrèa, Ugo viene disteso sul tavolo della cucina, ovvero il suo regno di chef.
Ultimo ad andarsene è il diabetico Philippe, sulla panchina sotto il tiglio di Boileau e tra le braccia di Andréa, dopo aver mangiato un dolce a forma di seno preparato dalla donna, la quale lo lascia lì e rientra nella villa, il cui giardino è ormai invaso dai cani randagi attratti dalla carne che i fornitori hanno portato e lasciato appesa sulle piante.
Il 17 maggio 1973 “La grande abbuffata” – “La Grande bouffe” (si tratta di una coproduzione italo francese) venne presentato al Festival di Cannes, il film suscitò un grande scandalo al momento della sua prima proiezione tanto che al termine della presentazione il regista Ferreri e gli attori verranno subissati di fischi e di insulti e dovettero essere scortati fuori dai saloni del Festival dalla Gendarmerie.
Unici difensori furono i “Cahiers du cinéma” che lo considerarono come l’opera di chiusura di una trilogia che ha avuto come suoi predecessori sul piano della provocazione intellettuale e sociale Ultimo tango a Parigi di Bertolucci e La maman et la putain di Eustache.
La Grande Abbuffata è forse l’opera più nota di Ferreri, forse è pure la sua più completa, grazie a quattro attori perfetti con Ugo Tognazzi su tutti (anche solo per la breve imitazione di Marlon Brando ne ‘Il Padrino’) e fu chiaro fin dall’inizio che il pubblico si sarebbe spaccato in due opposte fazioni, sostenitori e, soprattutto, critici del film.
Si può dire che Ferreri abbia ottenuto l’esito atteso, la sua è infatti una critica feroce alla borghesia, nata probabilmente come prima idea nel corso delle interminabili cene organizzate da Ugo Tognazzi (queste reali, nella villa di proprietà dell’attore a Torvaianica) a cui il regista partecipava definendo le portate pantagrueliche come un suicidio.
Dopo i fischi al Festival di Cannes fu criticata anche la massiccia presenza di scene di sesso come pura e libera voracità sessuale maschile quanto femminile che venne vissuta dallo spettatore dell’epoca come un insulto, un oltraggio al buon gusto, all’equilibrio della buona società, alla misura.
D’altro canto la censura italiana dell’epoca ci andò giù pesante e molte scene furono tagliate, in tutto quasi 17 minuti, considerando che nella versione per home video il film arrivava a durare 112 minuti rispetto ai 123 della versione italiana (e 129 della versione originale francese).
Persino il manifesto pubblicitario del film fu sequestrato, il manifesto in cui la donna stava con le gambe aperte e gli uomini mangiavano fra le sue gambe, che era poi una scena del film.
Una curiosità, le riprese ebbero luogo nel febbraio del 1973, nel cast recitano in piccoli ruoli sia il padre che la figlia di Michel Piccoli e il film venne girato nel quartiere parigino di Auteuil nel 16 arrondissement, un tempo un villaggio staccato da Parigi, presso la villa che fu dimora, nell’attuale rue Boileau, del omonimo celebre scrittore che si ritrovava con Molière per scambiarsi opinioni, scrivere e dibattere sulla vita, spesso insieme a Racine, La Fontaine e La Bruyère seduti intorno alla tavola della locanda del Mouton Blanc – La Pecora Bianca – giusto per rimanere sul tema culinario.
Antonio Grossi