L’APPROFONDIMENTO – Pochi medici?
In un suo recente articolo, Daniele Coen, medico di emergenza e studioso di metodologie organizzative sanitarie, scrive che per salvare la sanità italiana non basta aumentare il numero dei medici: in effetti il sovraffollamento dei nostri ospedali e le lunghe liste d’attesa dipendono in misura significativa anche dal fatto che vengono prescritti troppi accertamenti non necessari.
I rimedi fin qui adottati sono sempre gli stessi e “cercano risposte solo nel lavoro straordinario dei medici dipendenti e nel supporto del privato accreditato che già ora produce una quota variabile tra il 30 e il 50% delle prestazioni rimborsate dal servizio sanitario nazionale”.
Coen aggiunge che “il problema viene affrontato solo in termini di risorse: per tappare il buco ci vogliono più medici, più infermieri, più soldi”.
Naturalmente queste risorse sono tutte necessarie, ma “è indispensabile inserire nella discussione il fatto che in Italia si fanno troppi esami e troppo spesso inutili.
Secondo i dati Eurostat, nel 2019 l’Italia era quinta in Europa per numero di apparecchi TAC ogni 100.000 abitanti e lo stesso valeva per gli apparecchi di risonanza magnetica. Davanti a noi solo nazioni piccole come Liechtenstein, Cipro, Svizzera, Danimarca.
Ci lasciamo invece alle spalle Germania, Spagna e Francia, quest’ultima di gran lunga. Per quanto riguarda il numero di esami eseguiti (sempre in rapporto alla popolazione), siamo a un’incollatura dalla Germania, mentre ne facciamo quasi il doppio di Francia, Spagna e Olanda.
La domanda che scaturisce da questi dati è semplice: sono i medici dei grandi paesi europei a chiedere troppo pochi esami, o siamo noi che ne chiediamo troppi?
La Società italiana di radiologia medica e interventistica stima che circa il 30% degli esami radiologici che vengono richiesti sono inutili. Non negativi nei loro risultati, ma proprio inutili per indirizzare in qualsiasi modo la diagnosi o la terapia del paziente. Esami che non avrebbero dovuto essere richiesti e che lo sono invece stati per la scarsa preparazione dei medici, l’insistenza dei pazienti o per quella che è nota come ‘medicina difensiva’: meglio fare un esame in più che uno in meno per non essere citati in giudizio”.
Per quanto riguarda le visite specialistiche Coen scrive: “migliaia di pazienti con ipertensione lieve vengono inviati dal cardiologo, persone con diabete di tipo secondo (quello più comune che solo in un numero limitato di casi richiede la terapia insulinica) dal diabetologo, grandi anziani con problemi di memoria dal neurologo.
Sono tutte situazioni che potrebbero (e dovrebbero) essere gestite direttamente dal medico curante, ma quel che è più grave è che una volta entrati nel giro degli specialisti, la maggior parte di questi pazienti non ne uscirà più. Le parole con cui si conclude più di frequente una visita specialistica sono infatti: ‘Tutto bene, continui così, ci rivediamo tra un anno con gli esami’. Questo fa sì che decine o centinaia di migliaia di persone con condizioni di malattia assolutamente stabili ripetano periodicamente accertamenti e visite sostanzialmente inutili invece di essere riaffidate al proprio medico per tornare eventualmente dallo specialista solo nel caso di un aggravamento del quadro clinico o della comparsa di nuovi sintomi”.
Coen conclude affrontando anche il tema della prescrizione degli antibiotici: “siamo tra i primi consumatori di antibiotici in Europa e paghiamo questa spensieratezza con un tasso di resistenze batteriche tra i più alti del mondo. Siamo infaticabili prescrittori di visite e di esami e paghiamo questa alacrità con tempi di attesa epocali. Anche per chi (e non sono pochi) avrebbe davvero bisogno di poter fare un esame velocemente”.
Daniele Coen, presentato da Davide Caramella