APOCRIFA – Evangelizzazione
Racconta Francesco papa di essersi irritato con una brava signora la quale, diversamente da colei che gli aveva proposto la benedizione per il proprio cane, gli aveva annunciato trionfante di avere condotto alla religione, convertito, due giovani fino a quel momento increduli e soddisfatta glieli mostrava anche (vivi però e non imbalsamati al pari delle prede in mostra nei tradizionali casini di caccia templi dell’arte venatoria) come prova a risultato della opera svolta.
Francesco aveva reagito con severità, niente di male invero per il vicario terreno del Signore cui pure, ogni tanto, scappavano i cavalli, e ne ha poi anche spiegato il motivo: non si deve fare proselitismo, ma evangelizzazione.
Con il primo termine intendendosi la ricerca di nuove adesioni alla propria idea (non dissimilmente da quanto opera un partito in cerca di aumentare i voti) e con il secondo volendo invece significare la presentazione di Qualcuno e di un messaggio non con tecniche o modalità funzionali a provocare il consenso o convincimento altrui onde portarlo dalla propria parte, ma per il tramite di conformi comportamenti, esempio di vita compreso: del tutto libero in ogni caso rimanendo l’interlocutore di approvare o meno, di assentire o negare.
La conversione (alla lettera: cambiare mentalità) oggetto della predicazione di Gesù, come riportata nei Vangeli, è scelta personale di ciascun singolo, libera e consapevole.
La differenza fra le due posizioni non è da poco né scontata.
Oltre a tutto è da tenere presente come il ricorso alla modalità del proselitismo sia in genere più connaturata nell’agire umano anche perché i risultati che ne derivano sono empiricamente individuabili e misurabili materialmente, la qual cosa è da sempre un obiettivo strettamente connesso alla razionalità terricola.
E un insieme anche importante dell’ambiente religioso non fa eccezione a questa tendenza sorvolando per brevità (e carità) su quando, in lunghissimi tempi passati, si ricorreva idolatricamente per portare alla religione (non a Dio) alla coercizione diretta o indiretta e alla violenza sia fisica sia morale.
Sottolinea Francesco che come Gesù non faceva proselitismo, ma recava un libero messaggio così, allo stesso modo, deve comportarsi anche la sua chiesa ed è significativamente profetico -in questa stagione sorda e muta che, sul piano ecclesiastico, contabilizza le decrescenti presenze fisiche alle funzioni religiose- come questa, che è una fra le più essenziali delle filigrane evangeliche, sia enunciata e illuminata proprio dal papa e dal centro della sede della organizzazione burocratica della religione, troppe volte sfortunatamente confusa con l’Altissimo.
Un piccolo grande sacerdote, per molti anni parroco milanese in S. Giovanni in Laterano e voce non clamante, anzi per sua volontaria scelta flebile sebbene non meno profetica, ma ben vigoroso calamo il cui rombo è chiaro al cuore di chi legge, ebbe a scrivere, ancora nel 2001, a proposito del “raccontare Dio” e dell’aria da maestri che tanti assumono (che è poi la medesima considerazione di Francesco papa circa il proselitismo) come di non pochi fraintendimenti è stata causa anche una scorretta traduzione del passo di Matteo 28,19 che faceva dire a Gesù “Andate e ammaestrate”. Il verbo greco va in altra direzione, Gesù dice “Andate, fate discepoli”. La differenza è enorme. Non si tratta di “indottrinare”, ma di “affascinare” (Angelo Casati, L’autunno del prete).
In effetti nella non agevole traduzione della antica scrittura -che è parola non dettata all’autore da Dio, ma ispirata e che è già passata dall’aramaico al greco oltre che dagli stili di numerosi amanuensi- anche il diavolo qualche volta riesce a mettere la coda.
Quanto tempo c’è poi voluto a correggere una svista divenuta strafalcione -a Dio attribuendo tendenze diaboliche- come non ci indurre in tentazione (Mt 6,13: mentre l’originale significa: non fare entrare) e quanto tempo ci vorrà ancora (forse) a dare il senso che dovrebbe avere (e che le parole greche anche significano) al ritrovamento del sepolcro vuoto in Gv 20,7 oggi tradotte in modo incomprensibile sebbene testimonianza, per il credente, delle resurrezione da parte del discepolo più giovane (il quale vide e credette)?
Sempre Angelo Casati ri-porta in Italia nell’ottobre 2003 un profilo di chiesa evangelica dalla Siria, Paese di antichissima cultura e culla del cristianesimo poi ignobilmente distrutto da cialtroni e delinquenti politici di dentro e di fuori.
Ad Antiochia la comunità cristiana, di poche decine di persone, ha la sua casa-chiesa accanto alla moschea e alla sinagoga e a quanto riferisce il suo unico sacerdote: Se ci chiedete che cosa facciamo -dice padre Domenico- vi rispondiamo che non facciamo nulla. Teniamo aperta la porta, accogliamo, ascoltiamo, sosteniamo. Abbiamo accolto giorni fa i musulmani per una loro festa, la scorsa settimana qui nel cortile abbiamo ospitato gli ebrei per un rito di circoncisione. Non fanno ‘niente’ e fanno il vangelo. Noi come Chiesa a far tutto e forse niente o poco di vangelo (Angelo Casati, Il seme nella città).
LMPD