APOCRIFA – Ho fiducia nella Giustizia
In tutti questi (tanti) anni infidi di contrasti e di polemiche politico-giudiziarie sono ben pochi i soggetti pubblicamente esposti che, raggiunti da un provvedimento di indagine o di rinvio a giudizio, non abbiano sentito l’opportunità o il dovere, in omaggio al politicamente corretto, di far conoscere alla stampa, e per essa al mondo, la propria fiducia nella Giustizia.
Fatta la tara all’ipocrisia fuorviante del politicamente corretto e convenuto d’altronde che in un Paese civile la fiducia nella Giustizia dovrebbe essere elemento stabile e costitutivo del patrimonio di diritti inalienabili del singolo cittadino anche non importante, ma comune (ci sono dei giudici a Berlino: la nota vicenda, presto divenuta metafora, del mugnaio Arnold che si imbatte in giudici corrotti dal proprio nobile e ricco avversario e che deve risalire fino al giudice supremo, Federico il Grande di Prussia, per avere infine giustizia), la frase è talvolta sembrata, più che una convinzione, una sorta di captatio benevolentiae in schema fondamentalmente apotropaico al pari di altre non necessariamente pretermesse, ma concorrenti tradizionali misure come la zampa di coniglio o il cornetto di corallo o toccamenti di vario genere e materia.
Ora, se solo la metà di quanto ha riferito la stampa negli scorsi giorni in merito alle disavventure giudiziarie venute alla luce corrispondesse al vero la breve e risoluta dichiarazione in parola assumerebbe una prospettiva e un significato probabilmente noto solo a colui che la vada a pronunciare.
E’ del tutto vero che i magistrati siano uomini come ogni altro e che possano a loro volta sbagliare, ma è altrettanto vero che essi, come tali e cioè come soggetti concretizzanti nei fatti reali per il tramite delle loro azioni il terzo potere (costituzionalmente autonomo) fondante la Repubblica, hanno doveri privati e pubblici specifici che ad altri concittadini non sono richiesti.
Per il loro ruolo e funzione.
Senza cadere nella tentazione di lodare i tempi passati rammento la saggezza di una nonna romagnola, figlia di una terra che dai secoli del Papa re se ne stava alla larga dal potere dei potenti, che al nipote intenzionato a diventare avvocato rese in dialetto una sintetica sentenza (peraltro worldwide nota): con i soldi e l’amicizia si va in barba (a scelta) alla Giustizia.
Non si può pretendere (e difendere), peraltro del tutto correttamente, l’autonomia assoluta del potere, costituzionalmente riconosciuta e consentita per uno scopo legittimo e poi contravvenire alle (proprie) regole con comportamenti che sono (purtroppo) comuni a modi di essere e di agire che si realizzano (anche se sarebbe auspicabile così non fosse) in prospettive quantomeno non altrettanto protette.
L’amministrazione della giustizia non è un mestiere come un altro, ma una funzione importante che consegna al soggetto onori importanti, ma che in cambio chiede l’assolvimento puntuale di oneri non meno importanti: se l’uomo magistrato deve essere libero e soggetto solo alla legge, come è giusto, lo sia e lo rimanga, come è giusto, ma non a corrente alternata.
La morale e l’etica, nell’attuazione del compito primario, non possono essere soggettive o improntate alla convenienza e ai personali interessi, ma ancorate a un paradigma scelto e adottato fino in fondo sia esso di prospettiva cristiana o di prospettiva razionalistica kantiana.
Osservando sinuosità e motivazioni e intrecci i quali, al netto delle simpatie o antipatie che si possono sviluppare ovunque ci siano organizzazioni di esseri umani (comprese quelle ecclesiastiche), sarebbero imbarazzanti anche altrove, in altri campi, bisogna anche riconoscere che sulla parete della caverna ombre ondeggianti conferiscono nuove preoccupazioni civili a tante polemiche mai sopite, comprese quelle sbrigativamente denominate di giustizia a orologeria.
Denominazione nella sua sostanza insultante per la Giustizia.
C’è anche da ricordare, d’altra parte, che l’emersione alla superficie di queste alghe non è di origine esogena, ma è avvenuta a motivo della attività di una Procura della Repubblica.
LMPD