APOCRIFA – La medaglia ha due facce
Già più di una decina di lustri or sono, un grande professore di medicina legale avvertiva i suoi sparuti studenti, intimiditi dai cupi meandri del vecchio istituto avvolto nella nebbia serale, di non illudersi mai, nelle rispettive future vite professionali, di trovare i malati negli ospedali e i sani in circolazione: al contrario, i malati più pericolosi sono di norma proprio quelli fuori, che sembrano normali e non facili, sovente impossibile, da individuare come tali.
A quel tempo gli abitanti del bel Paese non erano forse i sessanta e oltre milioni di oggi, ma comunque un bel numero.
La vicenda dell’autista dal doppio passaporto che ha messo a drammatico repentaglio la vita dei tanti ragazzini e dei tre adulti affidati alla sua cura professionale di guida, finita non in tragedia solo per una fortunata concatenazione positiva (capita anche questo) di intelligenze e di eventi, rende più che mai attuale quel vecchio ammonimento il quale procedeva estendendosi ad altre concorrenti considerazioni.
Che sono poi, di fatto, le componenti principali del processo, che normalmente viene oggi denominato analisi del rischio, al quale ci si potrebbe forse cercare di collegare, almeno idealmente, allo scopo di evitare, almeno in parte, di profferire frasi dal dubbio senso (se non per unico effetto mediatico destinato a svanire il giorno seguente sulla scorta di altri avvenimenti per il principio del chiodo scaccia chiodo e tutto rimane com’è).
Senza entrare ovviamente nel caso specifico, per cui non si possono che attendere i dati delle indagini, è forse di qualche interesse una sintetica osservazione di ordine generale.
Dunque, la preventiva intercettazione dello scoppio di comportamenti anomali o devianti da parte di un quisque de populo, di un soggetto appartenente a un insieme come, nel caso, il totale dei lavoratori operanti in un’azienda, che non abbia palesato in qualche modo segni avvertibili di squilibrio assomiglia alla proverbiale ricerca dell’ago nel pagliaio che può essere resa ancor più precaria dalla mancanza di un motivo per effettuarla.
Perché?
Perché la funzione preventiva, nella disciplina del lavoro organizzato, è regolata e stabilita dalla legge (anzi, dalle leggi: magari ce ne fosse una sola chiara ed esaustiva).
Così per procedere all’assunzione di un autista da adibire alla guida di un autobus in servizio pubblico sono disposte misure obbligatorie sia iniziali all’atto dell’assunzione (casellario giudiziale) sia, nel prosieguo del rapporto, periodiche di mantenimento di ordine legale, medico-legale (condizioni di salute psico-fisica) e tecnico-professionale (patente, CQC).
L’azienda, il datore di lavoro, cura inoltre la formazione e il mantenimento dell’addestramento dell’autista oltre a governare, in genere, ogni altro aspetto del rapporto di lavoro essendone comunque sempre responsabile.
Va da sé che la gestione del rapporto di lavoro deve in ogni caso essere realizzato nell’ambito delle leggi pertinenti (che nel caso specifico degli autisti in servizio di trasporto pubblico, comprendono anche, allo stato, un regio decreto, il numero 148, dell’anno 1931: una sorta di ‘statuto dei lavoratori’ ante litteram) e che la magistratura è, peraltro correttamente perché trattansi di diritti personali, molto attenta a impedire eventuali sconfinamenti di controlli aziendali oltre a quelli tassativamente previsti dalle norme.
Sono note, da ricorrenti notizie di stampa, le difficoltà (talvolta paradossali) di reprimere efficacemente, ad esempio, il furto perpetrato dai dipendenti infedeli che si assentano dal lavoro con procedure formalmente corrette, ma per malattie fasulle e la macchinosità e lunghezza delle prove e delle incombenze per porvi rimedio.
Quindi, sempre per esempio, alla domanda a effetto mediatico di tanti tuttologhi, in particolare politici, che hanno retoricamente e minacciosamente domandato come mai un tale con sulle spalle una condanna per molestia a minorenne possa essere messo o lasciato alla guida di un bus di minori risponde la legge, che il soggetto politico dovrebbe conoscere (D.p.r. 313/2002 con le modifiche del 2014 e del 2018), la quale dispone la richiesta del certificato del casellario all’atto dell’assunzione.
Tenendo conto che nel documento sono riportati i provvedimenti definitivi (per quelli non definitivi soccorre un altro certificato: quello dei carichi pendenti).
E poi?
E poi il soggetto aziendale, in generale, può anche chiedere, se crede, altri certificati, ma è ragionevole lo faccia con una motivazione e non a pioggia e in particolare, se la normativa non cambia, non nei confronti di qualcuno che non dà adito, nemmeno indirettamente, a sospetti di sorta.
Ancora diverso è il discorso circa la sospensione della patente di guida disposta per ragioni private (per esempio guida in stato d’ebbrezza) e non in costanza di servizio: in questo caso l’azienda non ha mezzi per venire a conoscenza del provvedimento, che peraltro vulnera temporaneamente la possibilità dell’autista di rendere il proprio servizio vs il datore di lavoro, se non è lo stesso lavoratore a dichiararlo. Cosa che normalmente tende a evitare preferendo coprire la spiacevole contingenza con modalità (teoricamente ammesse, sebbene non certo a questo titolo) di tipo organizzativo come ferie, congedi straordinari, malattie etc.
Certo, in un’ottica di concreta analisi del rischio, le aziende potranno provare a organizzarsi allo scopo di ottenere, dal dipendente che chiede sospensioni dal lavoro (ma per ferie e malattia saranno anche da verificare le probabili reazioni sindacali), dichiarazioni sottoscritte formalmente che assicurino circa l’assenza di condizioni diverse come l’avvenuta sospensione della patente di guida.
E se il dipendente dichiara il falso? Ammesso che siano in grado di provarlo, le aziende (a parte il possibile aspetto penale circa le dichiarazioni mendaci, ma destinato a seguire una strada autonoma e con tempi non identificabili) lo mette sotto procedimento disciplinare.
Si può arrivare a licenziarlo? Dipende dall’interpretazione che ne darà il singolo magistrato in base a considerazioni di gravità del comportamento tenuto nello specifico caso.
Questo solo per dare un’idea di come molte materie siano, nella nostra realtà, complesse di natura (dovendo mediare -se fossimo in una civiltà orientale il problema non ci sarebbe- una non semplice bilanciatura di interessi fra diritti di diversa natura) e poco adatte, quantomeno in teoria, a interventi estemporanei di stampo più di partecipazione mediatica che di aiuto sostanziale al miglioramento necessario.
In ogni caso, può succedere anche che sull’onda dell’emozione e della paura seguano atti normativi, ma se sono rapsodici e non innestati nel complesso contesto del sistema non è detto che servano a migliorare la realtà e quindi presentano risultati tutti da verificare.
Ora la stampa rivela che qualche volonteroso parlamentare sia già all’opera per predisporre un disegno o una proposta di legge al riguardo, ovviamente migliorativa (e ben venga, dato lo stato generale della nostra pletorica e confusa legislazione un siffatto proposito è sempre possibile e, anzi, auspicabile).
Speriamo bene, ma che si consideri non solo un fatto in sé (facciamo un caso: richiesta a periodo ravvicinato dei carichi pendenti e comunicazione d’ufficio delle sospensioni di patente da parte della pubblica autorità ai datori di lavoro), ma anche che si preveda una disciplina coerente degli adempimenti e delle incombenze che necessariamente devono conseguire a questi accertamenti.
LMPD