APOCRIFA – La transizione
E’ un termine entrato nel modo di sentire e di dire comune il quale, confidando che il suo uso, non sempre a proposito, non lo svuoti di significato come è già accaduto ad altre parole, puntualizza e definisce un percorso di passaggio da una situazione a un’altra, una evoluzione da uno stato a un altro.
A voler essere attenti già la vita stessa di ogni creatura è, da sempre, una transizione indipendentemente dall’essere più o meno percepita come tale.
Ma il termine così come adottato al momento significa precipuamente passaggio (che si intende virtuoso) verso uno stato di sostenibilità, la cui essenza è costituita dal raggiungimento di un equilibrio sufficientemente stabile fra le attività antropiche e gli elementi della natura.
Un equilibrio, in altre parole, che consenta alla Terra e ai suoi abitanti sempre in crescita di convivere in un rapporto oggi non ancora costituito, ma cui si tende avendolo immaginato e progettato, di reciproca assenza di danneggiamenti irreversibili e quindi di compatibilità come condizione di corretta sopravvivenza.
La sostenibilità rappresenta, secondo le differenti visioni, il lascito ereditario delle presenti generazioni a quelle future oppure, e forse l’inversione rende ancor maggiormente l’idea, la restituzione a figli e nipoti e pronipoti, il cui diritto alla vita è identico al nostro, di un bene comune contingentemente amministrato in nome e per conto in attesa di trasferirlo loro.
Sia come sia è ora (finalmente) certo sotto il profilo scientifico che lo sviluppo dell’Atropocene così come realizzato fino a ora porta e porterà a conseguenze irreversibili sullo stato della natura terrestre nella quale gli uomini variamente vivono e che queste conseguenze riverbereranno i loro effetti critici in modo progressivo e, da un certo periodo in poi, senza più possibilità di interventi mitigativi o restitutivi.
Il riscaldamento globale dell’atmosfera indotto dai gas prodotti dalle attività umane, ancora fino a pochi anni or sono banalizzato come visione catastrofista degna di fantascienza di serie c, ha iniziato a dare segni di realtà per il tramite di cambiamenti climatici la cui ripetitività restringe sempre più il campo all’eccezione del “succedeva anche una volta” e alla conseguente ricerca storica della primavera o dell’estate più calda che alla fine si trova: ma con il particolare non indifferente di essere stata una ed eccezionale.
Mentre ora le eccezioni si ripetono e diventando croniche perdono il loro primitivo carattere.
Solo per citare qualche macro esempio, la desertificazione da un lato e l’innalzamento delle acque dall’altro causerebbero (la prima peraltro già in corso progressivo e con conseguenze già accertabili) eventi di tale portata che gli spostamenti o migrazioni a seguire, inarrestabili, farebbero impallidire il già noto (e non mai ancora risolto) tema delle rotte di migranti odierne.
E’ vero, da un lato, che la storia geologica della Terra è stata un avvicendarsi di cataclismi con conseguenze esiziali sui suoi abitanti e che la storia dell’uomo, in particolare, è stata sempre caratterizzata da drammatici spostamenti di grandi masse di popolazioni in cerca (inarrestabile) di trovare di che vivere meglio, ma è del pari vero, dall’altro, che la massa di creature umane era spropositatamente inferiore a quella attuale in rapporto agli spazi di manovra disponibili.
Inoltre, emerge comunque una gran differenza fra il dover sopportare, da parte dell’uomo, le avversità naturali di certo sempre esistite e l’andare a produrne di certe e di peggiori con il proprio (ir-)responsabile comportamento.
E’ quindi dopo molti (e per i più attenti osservatori: troppi) anni di approfondimenti, ricerche e dibattiti scientifici che si è giunti alla consapevolezza, cui ora anche numerose correnti socio-politiche di diversi Paesi attingono, sebbene in diverso grado di adesione, della necessità di porre mano all’obiettivo della sostenibilità (ambientale) e, pertanto, alla transizione come unico strumento possibile per realizzarla in tempi coerenti con la esigenza di non andare oltre il tempo massimo: cosa che renderebbe tutto inutile e vano ogni sforzo.
Il tèma della transizione energetico-ambientale è quindi di grande e obiettiva importanza sia nel contesto europeo sia in quello internazionale e il primo e più prossimo scenario è costituito dagli orientamenti, proposte e decisioni in merito della Commissione europea.
La transizione si traduce, in campo energetico, nell’utilizzare altre e diverse forme di energia rispetto a quelle tradizionali ancor oggi prevalenti (di origine fossile) e in campo ambientale significa perseguire, in parallelo, quei benefici ambientali in termini di progressivo minor inquinamento nelle sue varie forme (gas serra o climalteranti: in primis biossido di carbonio CO2 e metano CH4) che in questi ultimi decenni, in particolare, non sono stati a sufficienza curati e verificati sotto il profilo delle conseguenze.
La transizione non può evidentemente essere (per nostra sfortuna) un atto immediato, ma solo un processo in divenire poiché deve gradualmente modificare lo scenario attuale (sempre più gravemente nocivo per l’ambiente) in un diverso scenario tendente a raggiungere la neutralità climatica.
L’obiettivo climatico della UE (2030 Climate Target Plan) è ridurre le emissioni dei gas a effetto serra del 55% entro il 2030 (e di metano del 30%) e di pervenire alla neutralità climatica per il 2050.
Questo significa che la transizione non è una tendenza di buone prassi sine die, ma un progetto tecnico-economico da sviluppare necessariamente in un periodo di tempo limitato e per gradi successivi (onde consentire risultati misurabili con il progressivo rimpiazzo degli agenti energetici nocivi a opera dei corrispondenti migliorativi) e che la prima e più urgente fascia d’intervento è costituita, appunto, dai prossimi 10/12 anni.
LMPD