APOCRIFA – Morto un papa se ne fa un altro
L’espressione, che anche nel linguaggio corrente indica come la clessidra della vita continui nonostante tutto, intende sottolineare in astratto la continuità dell’istituzione ecclesiastica indipendentemente, vale a dire scissa, dalla realtà umana della singola persona.
Non ancora avvenute le esequie ecco infatti che già gli esperti si occupavano del prossimo e gli imperturbabili allibratori britannici, senza remore a confrontarsi con lo Spirito, si esponevano giorni or sono a dare il cardinale Parolin favorito alla successione per 15 a 8.
Ai funerali di papa Francesco, che di lui avevano ben poco oltre alla cassa, hanno partecipato sia fedeli sia curiosi sia una pletora di delegazioni governative da tutto mettendo in mostra un variopinto campionario di capi di stato, di reali, di esponenti di governo e di grandi in genere. In pratica (quasi) tutti gli attuali padroni del vapore responsabili del globo e i loro rispettivi portaborse vassalli, valvassori e valvassini.
Ovviamente qualche assenza obbligata come il presidente cinese, che è un po’ lontano, e due recenti incriminati dalla Corte Penale Internazionale, lo zar di tutte le Russie, accusato di crimini di guerra per l’invasione russa dell’Ucraina, tra cui la deportazione illegale di bambini, e il primo ministro israeliano accusato di crimini di guerra e contro l’umanità per le operazioni militari a Gaza. Quest’ultimo ha fatto cancellare anche due righe di condoglianze vergate dagli ambasciatori del suo Paese riservando a sé, dopo averci ponzato tre giorni, l’iniziativa del cordoglio e il presidente russo, che si era lì per lì allargato in parole di encomio, ha poi fatto rappresentare il Paese da una signora, ministro dell’Educazione, e comunque lasciata mano (rectius lingua) libera al suo ideologo di regime per il quale, sobriamente, il defunto era un papa liberale di sinistra, nello spirito di Biden e Obama che aveva scelto di appoggiare i migranti, gli omosessuali, i pervertiti, laddove JD Vance, ultimo fra i grandi a incontrarlo in vita, sta girando la politica americana verso gli istituti cristiani.
Tanto valga per l’istituzione che soggiace ai convenevoli di Stato ed è adusa alle apparenze, menzogne comprese.
Nella realtà umana però, la continuità dell’istituzione, a posteriori dimostrata (in data odierna) dall’essersi succeduti 266 papi, viene almeno un minuto dopo il pensiero intrecciato alla vicenda e all’uomo, Jorge es Francisco.
Dai tanti analitici interventi di esperti e opinionisti si giunge a percepire che il clero e il popolo cristiano-cattolico sia frammentato in numerosi rivoli riconducibili -sulla falsariga delle Gallie di cesariana memoria (Gallia est omnis divisa in partes tres, la Gallia è tutta divisa in tre parti)- quantomeno a tre grandi contenitori di insiemi: fondamentalisti (imbracciano la croce come un piccone o, preferibilmente, un fucile), tradizionalisti (“Si è sempre fatto così”) e progressisti (evoluzione dello Spirito e dello spirito umano).
Va da sé che la terminologia, logora per abuso socio-ideologico, non è esaltante, ma in prima approssimazione può anche rendere l’idea.
I più acribiosi si dolgono oppure imputano (dipende dallo schieramento di appartenenza) che Francesco papa abbia iniziato, ma non portato a termine la sua opera riformatrice ovvero che abbia indebolito lo schema di potere curiale, ma senza costruirne valide alternanze sostitutive.
A parte il fatto che il Vicario non ha i poteri del Fiat lux che contraddistinguono il Rappresentato e che dodici anni di attività sono poco più di un battito d’ali a fronte di una struttura ciclopica come la Chiesa temporale e spirituale, pur consapevole che l’età e la complessità delle problematiche non gli avrebbero fatto vedere la fine del tunnel, egli ha comunque intrapreso molto e con coraggio in uno scenario a dire poco oscuro oltre che opaco e agitato da forti correnti che già aveva indotto alla resa il predecessore.
Poi è anche curioso, in ogni modo un po’ superficiale, come usualmente si faccia riferimento alla figura papale non considerando la duplicità di prospettiva che coesiste nel medesimo soggetto: Cesare e Dio.
Nella prospettiva di Cesare, vale a dire del potere temporale, lo Stato della Chiesa è un piccolo, minuscolo regno di stampo medievale governato da un sovrano che agisce nell’ambito di una corte fra numerosi cortigiani non necessariamente tutti trasparenti o fedeli o coinvolgibili nel servizio in modo omogeneo.
Nel caso concreto si ricorderà uno scenario di scandali e corruzione generalizzato tanto da rendere quantomeno difficile e aleatoria la fiducia nel prossimo: da qui anche possibilità di errori e scelte sbagliate o migliorabili che ben si possono immaginare a carico di un uomo costretto alla e nella solitudine e nondimeno al comando con poco tempo a disposizione (egli stesso ammette, nella autobiografia, il difetto della impazienza e della fretta, ma anche nostro Signore qualche difficoltà nella scelta dei collaboratori l’ha sperimentata a sua volta).
Francesco doveva essere ben conscio sia delle complessità, anche di tempo oltre che di luogo, sia della necessità di seminare lasciando a chi sarebbe venuto dopo il crescere e il raccogliere onde, allo stato, la eredità di governo è pesante oltre che varia (a iniziare dalla gestione finanziaria)
Nondimeno, all’esito di un lavoro novennale con un gruppo ristretto (Consiglio dei cardinali) costituito nel 2013, il giorno 19 marzo 2022, decimo di Pontificato, Francesco pubblicò la costituzione apostolica Praedicate Evangelium che, sostituendo dopo 34 anni la precedente Pastor Bonus di Giovanni Paolo II ridisegna la struttura della Curia, struttura politico-amministrativa della Santa Sede, cambiandone forma, organizzazione e sostanza: in direzione di una specifica ‘conversione missionaria’.
Il primo dicastero della Curia (la Segreteria di Stato divenuta Segreteria papale) è il nuovo Dicastero per l’Evangelizzazione ed è costituito il Dicastero per il Servizio della Carità sottolineando che il Vangelo è predicato con le parole e realizzato con le opere.
E inoltre sono stati posti sia uno spazio normativo per possibili ruoli di governo della Curia per fedeli laici e laiche sia l’abolizione di cariche senza termine onde il mandato quinquennale sarà rinnovabile per un secondo quinquennio trascorso il quale chierici e religiosi tornano alle rispettive diocesi e comunità.
E per iniziare, quando già era alla fine, ha nominano una suora a capo del Dicastero dei Religiosi e un’altra a capo del Governatorato vaticano, l’amministrazione dello Stato pontificio.
Il futuro, compreso l’orientamento del successore e la partecipazione dei numerosi coinvolti, diranno se questa eredità è destinata a realizzare un passaggio d’epoca oppure a rimanere in intenzioni destinate a svanire per la scomparsa del suo promotore.
Ma è nella prospettiva di Dio, vale a dire dello Spirito più che del Vaticano, che lo spazio (anche desertico) è, per definizione, senza confini ed è qui che ci sono state forse ancora maggiori opposizioni da parte di critici e avversari di varia estrazione.
Ed è nondimeno la prospettiva che, a differenza di qualsivoglia altra, fa perno sul Vangelo il quale è per i credenti, sebbene mediata perché Gesù non ha lasciato alcuno scritto, parola e lascito di Colui che ogni successore di Simone, la Pietra, è chiamato a interpretare pro tempore.
E Francesco, già con la scelta anomala del nome di un (laico) santo dolce e duro al contempo, strade ne ha percorse in lungo e in largo e al Vangelo ha dato, per fatti e parole concludenti, interpretazione autentica in nome della misericordia, in analogia al motto prescelto (Miserando atque eligendo) che ricorda, secondo lo scritto del monaco altomedievale Beda, la chiamata del pubblicano (a noi questa figura non dice nulla, ma ai tempi di Gesù era urticante, per non dire altro) Levi Matteo da parte del Signore.
Quindi sempre sulla strada accidentata e spinosa dei profeti d’Israele i quali, dalla parte dei deboli e indifesi (gli scarti di ogni tempo), levavano a loro rischio e pericolo la voce verso i rispettivi potenti ottenendo in cambio persecuzione e morte.
E come possa essere difficile da realizzare nello spirito, oltre che densa di conseguenze divergenti, la lettura e la pratica evangelica appare, a esempio, proprio a proposito della evangelizzazione: di norma nello scritto di Matteo, forse il primo catechismo di ogni tempo, la traduzione fa dire a Gesù “Andate dunque e ammaestrate tutte le genti” laddove il verbo originale significa invece “fate discepoli”: emerge cioè la differenza divergente (così scrive un presbitero di rara sensibilità oltre che di lunga esperienza come Angelo Casati) fra indottrinare con definizioni teologiche e chiamare sottovoce a sé per il fascino di strada percorsa a piedi in comune, di presenza misericordiosa, di sguardo che rimane nella memoria del cuore.
Si ripete (sempre) la differenza fra il sacerdote del tempio, colui che rigido e fedele custode dei valori della tradizione si rifugia nel passato sotto l’egida della legge per una religione immutabile che non consente né si aspetta alcun cambiamento, e il profeta, colui che conosce le cose che sono presso Dio e che è, in qualche modo, lui stesso presso Dio (parà tò theò) fino a costituire espressione sebbene umbratile del Dio che viene.
Il quale secondo lo Spirito libera l’uomo dai vincoli istituzionali e burocratici fini a se stessi: Guide cieche, filtranti il moscerino e ingoianti il cammello (Mt. 23,24): quando gli aspetti marginali della fede diventano importanti e quelli che sono vitali secondari.
Un papa profeta era necessario al Vangelo e rimane allo stesso modo necessario ancora adesso che ce ne è appena stato uno.
LMPD