APOCRIFA – Paese che vai
Ci sono settori o materie, se si preferisce adottare un approccio scolastico che potrebbe essere utilmente recuperato, in cui il nostro Paese è distante non solo dai livelli che ai recenti Europei di Atletica a Roma hanno fatto portare a casa meritati riconoscimenti, ma anche da una semplice medaglia di latta, di quelle che si danno unicamente per buona e minima educazione.
Il profilo che emerge dal Rapporto Annuale ISTAT 2024 attiene a un soggetto collettivo che ancora si barcamena con sulle spalle un carico di anni di crisi in cui si è sostanzialmente allargata la forbice negativa rispetto agli altri europei.
Un Paese sempre più vecchio, con il diminuire continuo della natalità, e mediamente più povero dove le maggiori criticità sono e permangono sulle donne, i giovani, gli stranieri.
Lasciando agli esperti le interpretazioni dei dati, ecco che gli stranieri, è appena il caso di dirlo, non sono poi così superflui considerato l’aumento dei vecchi bisognosi di assistenza sullo sfondo della rarefazione familiare e dell’assenza di sufficienti presidi pubblici.
Come anche opportuni per coprire quei diversi lavori (un discorso a parte ovviamente lo schiavismo che costituisce reato) che i concittadini non sono più disposti ad assumere.
Aumenta la povertà delle famiglie e dei singoli (a parziale, ma insufficiente sostegno dei quali è cresciuto il volontariato che supplisce alla carenza pubblica) e aumentano i cittadini che, lasciati soli dal SSN (le cui liste d’attesa sono una tragica farsa a copertura dell’inadempimento), rinunciano alle cure per mancanza di denaro.
In occasioni teoriche come convegni ed eventi, sia pubblici sia privati, è regolarmente posta enfasi sulle attività sanitarie di prevenzione della malattia (in astratto approccio comprensibilmente più efficacie ed efficiente rispetto alla cura), ma la prevenzione postuma (si sarebbe dovuti intervenire prima, ora è troppo tardi etc) è palesemente un non senso.
Come un non senso è la diatriba continua fra Stato e Regioni in ordine alle necessità reali di finanziamento del sistema se non si trova e si mette in opera un reale e funzionante metodo, uniforme e condiviso, di controllo di gestione delle necessità e della spesa pubblica sanitaria la quale è per definizione elevata e, come da numerose esperienze, oggetto (talvolta o sovente non si sa) anche di pratiche illecite sia private sia pubbliche (incompetenze e sciatterie amministrative comprese).
A livello dello Stato si lesina (verosimile, con la scusante di essere al fondo del barile), a livello regionale non basta o non si spende bene o si spreca (verosimile, con la scusante che ci sono però fior di eccezioni) e il risultato è che il morbo infuria, il pan ci manca, sul ponte sventola bandiera bianca: i deboli (privi di opzioni diverse dal SSN) ci vanno di mezzo.
E si giunge così al traguardo del faticoso andare che tuttavia è anche l’inizio del medesimo percorso: scarsità delle pubbliche risorse, inefficienze del loro utilizzo, assalti alla diligenza da Ombre Rosse, responsabilità politiche e amministrative (pensieri, parole, opere e omissioni), bugie e false promesse.
I conti pubblici sono, come già detto, a prova di raschiatura del barile e il nostro Paese presenta il deficit maggiore nella UE (7,4%) per la trattazione del quale, con obiettivo tendenzialmente in recupero cioè in diminuzione, sarà a breve disponibile anche la così detta traiettoria di riferimento della Commissione europea.
Sullo sfondo una possibile procedura per deficit eccessivo e la necessità che il governo se ne occupi in termini realistici fermando la deriva e invertendone la direzione pur con tutta la lunga progressione necessaria.
Ma non si vedono ancora prodromi.
Solo tre osservazioni (fra le tante possibili).
Non c’è stato governo di qualsivoglia colore, si prendano gli ultimi numerosi anni, che insediandosi non abbia prestamente caricato la responsabilità del cattivo stato dei conti sui precedenti inquilini del Palazzo: vero, ma poi non ha agito tanto diversamente e comunque i risultati alla fine sono rimasti i medesimi.
Il superbonus non solo ha aperto un’ulteriore falla (due punti in più di deficit sono, dicono ora, opera sua) nel dissestato scafo della barca, ma ha palesato una inaspettata carenza (impossibilità, difficoltà, incapacità…) da parte di chi di dovere a tenere il controllo dei processi e la loro verifica in itinere: da una stima, a base della decisione di adottare il provvedimento, di spesa pari a circa 40 miliardi in 15 anni si è giunti alla conta (attuale) di oltre 219 mld.
Ha sbagliato la tecnica o pur a fronte di dati allarmanti è prevalsa la perseveranza della politica alla ricerca del consenso?
Con il consueto pizzo rigoglioso di truffe che non da oggi accompagna l’attenzione dei soliti ignoti alla disattenzione o difficoltà a difendersi dell’amministrazione pubblica.
Il sistema fiscale vigente, da parte sua, nonostante continui annunci di riforma (più propriamente grida manzoniane) è il prodotto di continui movimenti normativi (in media un intervento ogni diciassette mesi), marinaresca ammuìna che ha finito per costituire un corpus ostico anche per gli stessi esperti: vengono modificate qua e là condizioni all’interno sempre dello stesso insieme, ma non sono recuperati soggetti dalla massa informe degli evasori.
Le simulazioni che regolarmente seguono gli interventi (chi ci guadagna, chi ci perde) la dice lunga sul fatto che il perimetro di pesca è sostanzialmente sempre lo stesso.
La fotografia corrisponde a un Paese (dati tratti dal sito Itinerari Previdenziali) nel quale un reddito lordo sopra i 35.000,00 euro (2.000 euro circa netti al mese) è lusso e quindi condizione economica sia esclusa da benefici pubblici (se si hanno figli, costi e rette per mense, trasporti scolastici o università sono legate al reddito) sia da tassare in quanto agiata.
E in ogni caso questi ricchi da 35.000,00 euro lordi annui sono ben 5,5 milioni, rappresentano il 13,22% dei dichiaranti e da soli pagano quasi il 60% di tutta l’IRPEF, per non parlare di altro.
Mentre coloro che dichiarano da 100.000,00 euro in su sono mezzo milione (501.846) e rappresentano l’1,21% dei soliti noti (all’Agenzia).
Soltanto le auto di grossa cilindrata immatricolate in Italia sono 2,5 milioni onde 2 milioni di persone sembrano evaporate nel nero seppia diffuso che notoriamente (e non solo per le auto, beninteso), bene per i singoli e malissimo per la collettività, ha sorretto e continua a sorreggere l’italica baracca.
Ma a ben vedere, un cotanto sistema fiscale fisso al centro dello Stato, al pari della Terra nell’universo nel sistema tolemaico, e nel tempo inespugnabile da parte degli eletti del popolo che si susseguono in Parlamento dimostra, almeno in questo caso, la validità della democrazia: la maggioranza che non paga continua legittimamente a mantenere la supremazia sulla minoranza che paga.
Tanto i principi della Costituzione sono sia precettivi sia programmatici.
LMPD