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APOCRIFA – Terra mala

La COP30 è terminata nel solco della tradizione corrispondente a un fiume di parole dalla corrente quasi ferma nel quale ognuno si arrabatta a pescare qualcosa che gli possa servire di consolazione o supporto alle proprie idee.

Anzi, un fiumiciattolo dato che nel papiro finale è perfino scomparso il (solito) riferimento terminologico alle fonti energetiche fossili onde non rimane che credere (si può, naturalmente) che il pianeta si riscaldi da solo indipendentemente da coloro che ci stanno sopra.

D’altra parte i due più grandi competitori globali e soggetti inquinanti, gli USA neanche presenti a motivo delle lungimiranti scelte energetiche del loro padrone e la Cina presente e soddisfatta nel duplice ruolo, anche facendo più affari degli altri messi insieme con la transizione verde, non hanno tempo da perdere all’interno della loro reciproca tenzone e altri Paesi proprietari di immense ricchezze naturali perché titolari dei giacimenti naturali non hanno all’evidenza interesse né disponibilità a calmierare la propria fortuna.

Il conto è presto fatto: il petrolio è in Medio Oriente (Arabia Saudita, Iran, Iraq), Venezuela e USA; il gas naturale è in Russia, Iran, Qatar e USA; il carbone in Cina, Russia e USA.

Gli altri sono fuori gioco e potrebbero avere, forse, un ruolo se nei rapporti internazionali non tanto (si vuol dire) prevalesse, ma almeno avesse qualche parte anche qualche forma di collaborazione: in uno scenario dominato dalla ricerca di essere il più forte dell’altro non c’è spazio di manovra, ma solo per annunci che, anche se scritti, svaniscono quando si spengono le luci.

C’è poi da considerare che nemmeno i Paesi ospitanti e organizzatori riescono sempre a presentare, in termini ambientali, una fedina appena decente e nella specie il Brasile, a parte foto di circostanza della ministra dell’ambiente con alcuni indios, noto autore nel passato e nel presente di molti esiziali comportamenti ha scarsa autorevolezza per dare l’esempio o esercitare forme di moral suasion verso altri.

Quindi, sotto questo profilo, la teoria di Gates che suggerisce di non considerare in termini apocalittici i gradi di riscaldamento del globo terracqueo, tanto oramai ci sono e, lungi dal migliorare, cresceranno pure e in ogni modo anche gli abitanti vi si adatteranno come hanno sempre fatto nel passato davanti a ogni sconvolgimento, pur a prima vista un po’ semplicistica ha tuttavia una sua ragione.

E si basa motivandosi tacitianamente sine ira atque studio, da un verso, sull’osservazione empirica dei soggetti e dei loro comportamenti e, dall’altro, sulla osservazione disincantata della evoluzione naturale e, per così dire, dei grandi numeri.

Nel corso di un periodo (ultimi milioni di anni) sostanzialmente breve in rapporto alla storia ben più complessa e lunga della Terra, i cicli di alternanza freddo-caldo hanno prodotto abbassamento dei livelli marini, modifiche alla flora e migrazioni ed estinzioni della fauna compreso l’uomo che, a sua volta e secondo i casi, è migrato, si è adattato o è morto: intere popolazioni e animali sono scomparsi senza problemi, ma l’uomo ha continuato a sopravvivere e quindi continuerà a farlo.

Anche la storia suggerisce la medesima considerazione: civiltà eccelse e imperi di potenza globale, pro tempore padroni del mondo in proporzioni che fanno parere gli attuali dei principianti, si sono sciolte miseramente e al loro posto ne sono arrivate altre.

Certo, va riconosciuto che, in particolare nei periodi più o meno lunghi di transizione, le varie popolazioni coinvolte qualche difficoltà in più rispetto alla usuale pena di vivere l’hanno anche avuta, ma poi tutto si è risolto.

Solo i dinosauri non sono più tornati, ma non se ne è sentita la mancanza.

E non sarà quindi neanche un caso se, a buoni conti e per non sapere né leggere né scrivere, il padrone di Tessla, giustamente contrario agli imprevisti e a confondersi con il volgo, sta predisponendo alacremente le più opportune modalità tecnologiche per trasferirsi in tempo, aspirante Noè, lui e chi sceglierà sul più ospitale Marte.

Più terra-terra, come si usa dire, Reuters pubblicò in occasione dell’apertura dei lavori di Belèm un documentato servizio che sottolineava come oltre 30 anni di colloqui sull’azione globale per affrontare il cambiamento climatico non avessero portato -pur includendo l’espansione delle energie rinnovabili e l’aumento dei fondi per il clima- a progressi sufficienti allo scopo anche se, rispetto ai livelli del 2019, le emissioni globali sono previste in calo del 12% entro il 2035: le emissioni continuano infatti ad aumentare e le temperature continuano a salire.

Da cui, in ambito ONU, crescenti richieste di riforma della Conferenza delle Parti soprattutto poiché i negoziati mondiali sul clima erano stati progettati per concordare obiettivi globali e verificarne i progressi.

E davanti a questo mulino le cui vele girano troppo poco emerge la necessità di aggiornare lo strumento e la sua organizzazione per farlo diventare adatto al compito che, da sempre e tuttora, lo attende: trasformare anni di impegni COP in azioni effettive nel mondo reale.

Ma anche chi è d’accordo che le COP necessitino di una riforma non conviene con tutti su come essa dovrebbe realizzarsi.

L’ONU è, in ogni caso, tra coloro che cercano un cambiamento e il segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, Simon Stiell, ha istituito un ristretto gruppo di lavoro consultivo di 15 ex leader mondiali, diplomatici, ministri, rappresentanti della scienza e dell’economia e indigeni per consigliare su come rendere le COP adatte al prossimo decennio. Sembra che il gruppo sia in grado di presentare le proprie raccomandazioni prossimamente.

Un componente del gruppo consultivo, lo scienziato del clima Johan Rockstroem, professore alle Università di Potsdam e di Stoccolma, ha riferito di una analisi in cui nulla era fuori discussione discutendosi di opzioni che spaziano dall’accettare decisioni a maggioranza al ristrutturare il formato del vertice annuale, ma, alla fine, ciò che conta è iniziare a rispettare gli accordi.

In ogni caso  la dolente nota, che peraltro rende inefficace l’ONU in genere, è il requisito che le decisioni della COP vengano prese per consenso totale tra i quasi 200 Paesi coinvolti e la soluzione di passare a un modello di maggioranza di voto richiederebbe, a sua volta, un consenso completo così sottolineando che il più grande ostacolo ai grandi cambiamenti nelle negoziazioni climatiche globali risiede, come è logico, nel cartello della compagnia dei Paesi proprietari dei giacimenti di combustibili fossili la quale preferisce mantenere l’innocuo status quo.

E, in particolare, farla rimanere una vasta manifestazione appesantita da un eccesso di burocrazia più vicina a una kermesse o a una fiera che a una sede politico-operativa finalizzata a realizzare impegni di strategia climatica con migliaia di delegati che frequentano i vertici – inclusi grandi imprenditori e delegati con conflitti di interesse, come i dirigenti delle compagnie petrolifere che cercano di espandere l’uso dei combustibili fossili– e dove ci sono stuoli di affezionati habitué attivi e interessati solo nell’andare da COP a COP, da cocktail a cocktail, da evento parallelo a evento parallelo, mentre il mondo continua a bruciare.

LMPD

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