APOCRIFA – Un conflitto scritto nei secoli
Ma la Persia è stata dall’antico una potenza mondiale imperialistica d’Oriente per mille anni e più sempre in lotta con l’Occidente onde non si può dimenticare che ci siano, fin nella tradizione, lunghe radici anche di ordine culturale e spirituale, oltre che politico-materiali.
Nei tempi moderni l’importanza strategica della Persia si colloca con prepotenza già nel 1941 intorno alla enorme ricchezza petrolifera del Paese che dà origine all’invasione militare dei sovietici e dei britannici allo scopo di evitare la disponibilità dei giacimenti a favore dei nazisti che vi miravano.
Quindi le vicende sembrano comunque continuare a seguire in varie modalità, da una parte, l’odore del greggio e, dall’altra, la non sempre gradita (diciamo così) presenza diretta o indiretta occidentale che comprende anche la Russia sovietica (oltre a tutto atea).
La Persia, all’indomani del sorgere della questione israeliana-palestinese, pur contraria alla proposta delle Nazioni Unite di spartizione del territorio palestinese, è stato comunque il secondo Paese a maggioranza musulmana, con la Turchia, a riconoscere il neo-costituito stato israeliano e da parte sua Israele, largamente destinatario del petrolio iraniano, la supportò perfino nella lunga guerra contro l’Iraq a maggioranza sunnita di Saddam Hussein (1980-1988).
Precedentemente, nel 1953, Reza Pahlavi aveva rovesciato con l’intervento USA il governo democratico di Mohammad Mossadeq (nazionalizzatore dei giacimenti) e fino al 1979, anno della rivoluzione iraniana, le relazioni fra i due Paesi erano state buone dato che, in particolare, ambedue avevano interesse a contenere le opposizioni le quali intendevano vulnerare il governo dello Scià.
Con la rivoluzione del 1979 e la neo costituita Repubblica islamica dell’Iran i rapporti si deteriorano rapidamente -è Khomeini a indicare negli USA il grande Satana e il nemico dell’Islam e a istigare i soliti studenti, che ovunque si prestano volentieri alle strumentalizzazioni, contro l’ambasciata USA di Teheran- e avviene una crisi epocale, tomba politica di Carter, risolta da Reagan dopo la figuraccia della fallita prova di forza (Operazione Eagle Claw -sarebbe istruttivo vedere in faccia chi sceglie le denominazioni- che si risolse in perdita di uomini e di velivoli), il quale tolse il guinzaglio agli ingenti capitali iraniani depositati nelle banche statunitensi e li restituì agli ayatollah, peraltro non mai particolarmente riconoscenti.
Oltre a sostenere le milizie degli Hezbollah in Libano in funzione anti-israeliana le scelte persiane si avvicinarono sempre più sia strategicamente sia politicamente alla Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) di Arafat.
Gli aggressivi e ideologizzati gruppi islamici sciiti non riconobbero più la legittimità dello Stato di Israele, di fatto e di diritto giudicandolo una insopportabile e offensiva enclave occidentale nel loro territorio, campione e rappresentante di tutto ciò che è, nella loro visione politico-teocratica, decadenza dei costumi e deriva sociale.
Aumentarono quindi la loro attività, in particolare dagli inizi degli anni ‘90, a sostegno sempre più efficacemente strumentale della causa palestinese per la quale l’Iran aspirava progressivamente a porsi come guida e rappresentante del mondo islamico in genere e non rilevando, a quanto appariva, neanche lo scisma religioso.
Lo scenario si centralizzò sempre di più sulla ricerca di egemonia nella intera regione e, da parte sua, Israele prese a non rispettare i confini territoriali stabiliti dagli Accordi di Oslo delle Nazioni Unite e assunse progressivamente posizioni sempre più dure nei confronti della popolazione palestinese (Prima Intifada) con l’Iran in opposizione sempre più aggressiva a sostegno (bellico, non di negoziazione) dei palestinesi e finanziante le milizie degli Hezbollah in Libano, che Israele invase nel 1982.
Finalmente nei primi del 2000 il presidente Ahmadinejad, non un ideologo di fazione, afferma che Israele sarà cancellata dalle carte geografiche e il programma è, da allora, fatto proprio dagli ayatollah con conseguente apposizione, dal 2017 fin di un orologio a rovescio in quel di Teheran, piazza della Palestina, indicante, minuto per minuto, il punto di arrivo della disposta dissoluzione israeliana (2040).
Nella seconda guerra tra Libano e Israele (2006), l’Iran palesemente finanzia e sostiene con materiale (droni, missili, razzi etc) e intelligence gli Hezbollah e tutti i movimenti islamici ostili come Jihad, Hamas, Houti e non rinuncia, anzi, allo sviluppo della tecnologia nucleare che sostiene, invero con poca credibilità, di sviluppare per scopi civili, ma che è comprensibilmente visto da Israele (e dall’Occidente) come reale e definitiva minaccia.
Si giunge così al turpe scenario odierno, groviglio diabolico (già nel senso puramente etimologico di divisione) di ideologia, religione, fanatismo e pazzia che sembra, da un lato, tragicamente caratterizzato dall’assenza di statisti incapaci, in qualche modo, di un mestiere diverso dalla guerra, e, dall’altro, prova attendibile dell’esistenza metafisica del principe del mondo.
Anche il ricompattamento, a opera del primo ministro israeliano, del Paese impelagato nei crimini di guerra a Gaza, che continuano e cui nessuno più presta attenzione per via della mossa del cavallo su Teheran, la guerra dei 12 giorni, con appresso il taikùn costretto a bombardare l’Iran per evitare che il piccolo e mordace alleato vincesse da solo a spese sue si presenta o come risultato biologico di variabili ‘caso e necessità’ (peraltro già oggetto di dubbio filosofico-politico da parte di Tacito negli Annales) o come azione strategica di portata tale da relegare Machiavelli e Guicciardini fra i dilettanti.
In ogni modo tutti, more solito, sono vittoriosi.
Khamenei, che quando ronzavano gli aerei era prudentemente evaporato non facendosi trovare neanche dal presidente e dal ministro degli esteri del suo Paese (primo vivere, poi il resto), sebbene il taikùn avesse personalmente garantito che ‘non lo avrebbe ucciso subito’, sì è ri-materializzato, non in presenza, sottolineando di avere dato uno schiaffo agli USA e non è detto che, nella sua arroganza, abbia del tutto torto: gli analisti, anche americani, rilevano -smentendo la frettolosa arroganza e vanagloria del presidente- come il programma nucleare abbia subito un ritardo di qualche mese e i satelliti registrano la ricostruzione già in corso dei siti.
Il primo ministro israeliano vive in patria il suo momento di gloria e il taikùn ha una volta di più riconfermato di quale pasta sia fatto plaudendo, in corso di bombardamento dei siti, alle splendide armi a disposizione e garrulamente evocando poi, al vertice Nato, la fine della seconda guerra mondiale con la coscienza al bando: “Non voglio fare l’esempio di Hiroshima, non voglio fare l’esempio di Nagasaki, ma in sostanza è stata la stessa cosa: ha posto fine a una guerra”.
Chi, bene o male, si ritrova in quel piccolo resto che ancora crede Iddio può, a somiglianza del vecchio padre Abramo, sperare contro ogni speranza.
Per chi neanche crede è ancora peggio, e si vede.
Persuasa che la cultura della violenza e della morte abbia origine dal dis-prezzo (etimologicamente) arrogante della vita altrui, la redazione di Dialogando dedica, a lui e consimili, la fotografia in bianco e nero del 1945 di J. R. O’Donnell che Francesco papa consegnava ai suoi interlocutori: il bambino di Nagasaki con sulle spalle, a mo’ di zainetto, il fratellino morto nel bombardamento e rammenta, a lui e consimili, le parole dimenticate di Albert Einstein: L’umanità ha inventato la bomba atomica, ma nessun topo avrebbe mai costruito una trappola per topi.