HomeDialogandoNewsletterApprofondimentoL’APPROFONDIMENTO – Comportamenti alimentari

L’APPROFONDIMENTO – Comportamenti alimentari

Nelle regioni del mondo caratterizzate da elevati livelli di sviluppo e di ricchezza, decidere cosa mangiare non è legato solo alla scelta di ciò che è disponibile e che ci piace, ma anche da altre situazioni non strettamente alimentari. Per esempio, è ben noto che nei paesi con PIL elevato (e in particolare negli Stati Uniti) i poveri tendono a essere più grassi dei ricchi. Tale tendenza è legata all’ampia disponibilità e al basso costo dei cibi ipercalorici e ultraprocessati che – non a caso – vengono definiti “junk food”. La consumazione di questo tipo di alimenti risulta gratificante (fino a determinare dipendenza) e rappresenta per molte persone appartenenti alle fasce più svantaggiate della popolazione uno dei pochi lussi che si possono permettere.

D’altro canto, ci sono persone con particolare sensibilità che cercano di operare scelte alimentari consapevoli e sostenibili. Tra di loro troviamo i vegetariani e i vegani, che escludono con gradi diversi di intransigenza gli alimenti di origine animale, con l’intento di ridurre l’impatto ambientale delle varie forme di allevamento e al tempo stesso di evitare sofferenze agli animali. Anche i pescetariani appartengono a questo gruppo perché escludono dalla dieta carni rosse e bianche, sebbene ammettano il pesce e altri animali che vivono in habitat acquatici. Si tratta di una scelta interessante, perché sembra identificare una gerarchia tra gli animali da difendere, privilegiando mammiferi e uccelli ai danni di creature più lontane da noi in termini evoluzionistici. Anche per questo il pescetarianismo è stato oggetto di critica.
Tuttavia, se si considera la scelta pescetariana da un punto di vista evoluzionistico, questa appare più comprensibile alla luce delle spiccate caratteristiche prosociali che sono state selezionate nei nostri antenati nel corso dei milioni di anni durante i quali il nostro cervello è diventato capace di leggere con estrema raffinatezza le espressioni facciali e il linguaggio del corpo dei nostri simili con il fine di interpretare la ricca gamma di emozioni che sono rilevanti in un contesto fortemente cooperativo.

Ciò rende inevitabile che gli stessi schemi vengano utilizzati anche quando interagiamo con altri animali: per questo siamo portati a percepire (o ad attribuire) tristezza o gioia ai mammiferi e in misura minore anche agli uccelli, sulla base della loro mimica e dei loro atteggiamenti posturali. Questa è la ragione per cui ci è forse più facile mangiare i pesci e i loro compagni di vita acquatica (tutti caratterizzati da mutismo e assenza di mimica), che ci sembrano meno senzienti delle specie appartenenti alle famiglie dei mammiferi e degli uccelli.

Una capacità che la selezione naturale non ha invece avuto il tempo di far emergere in noi è quella che avrebbe potuto permettere di riconoscere la presenza di sostanze introdotte nei cibi durante la lavorazione industriale. Se fossimo dotati di questa capacità, potremmo proteggerci da quella che si sta rivelando come una vera e propria invasione del nostro organismo da parte di ingredienti non commestibili che finiscono nel cibo nella fase della produzione e del confezionamento.

Tra le numerosissime sostanze chimiche che attualmente si trovano nei cibi ci sono gli ftalati (a volte definiti “forever chemicals” per gli effetti a lungo termine che hanno sulla salute), mentre tra le particelle un ruolo importante è quello delle micro- e nanoplastiche che si depositano in molti tessuti biologici (le prime con dimensioni fino a 5 mm e le seconde con dimensioni inferiori al millesimo di millimetro). Questo accumulo non desta peraltro sorpresa se si considera che in un litro di acqua minerale contenuto in una bottiglia di plastica sono presenti oltre 100.000 particelle micro- e nanoplastiche.

La Medicina ha definito vari disturbi delle condotte alimentari utilizzando una nosografia che sembra richiamare i comportamenti descritti nei paragrafi precedenti: la bulimia (da βοῦς, “bue” e λιμός, “fame”, quindi letteralmente “fame da bue”), l’ortoressia (da ὀρϑός, “corretto” e ὄρεξις, “appetito”) che si manifesta come l’ossessione per un’alimentazione corretta e salutare e il picacismo (dal latino pica, “gazza”, nota per cibarsi di tutto ciò che trova) che è il comportamento caratterizzato dal mangiare sostanze non commestibili.

La cultura classica, oltre a essere alla base di queste etimologie, ci tramanda un racconto mitologico che oggi appare molto evocativo poiché propone un’inquietante analogia con la modernità: si tratta della vicenda di Erisittone che per l’abbattimento di una quercia sacra fu punito da Cerere con un’inesauribile fame. Tale punizione ebbe conseguenze tragiche per Erisittone e alla fine lo trasformò in un grottesco convitato di sé stesso, portandolo a morte mentre si nutriva delle proprie membra.

Davide Caramella

 

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