L’APPROFONDIMENTO – Gaslight
Ottant’anni fa negli Stati Uniti esce il film “Gaslight”, noto in Italia con il titolo “Angoscia”, che vede protagonisti Charles Boyer nel ruolo di un marito violento e manipolatore e Ingrid Bergman che interpreta la parte di una moglie vulnerabile che viene progressivamente sospinta a dubitare della sua sanità mentale.
Il titolo originale è legato all’illuminazione a gas presente ai tempi in cui il film era ambientato: infatti la protagonista era terrorizzata dalle inspiegabili riduzioni della luce proveniente dai lampadari a gas che avvenivano durante la notte e che in realtà erano dovute alle attività del marito, impegnato segretamente nella ricerca di gioielli nascosti in casa.
Dal titolo del film deriva il neologismo “gaslight”, un verbo che definisce la tattica adottata da persone con tratti disturbati di personalità per manipolare le loro vittime al fine di indurle a dubitare delle loro percezioni ed esperienze e a condurle verso una patologia mentale vera e propria. Tutto ciò soddisfa la volontà di potere di chi commette “gaslighting”, consentendogli oltretutto di ottenere vantaggi materiali o immateriali a scapito della vittima.
Una forma estrema di “gaslighting”, ancora più odiosa rispetto al film, è quella che sta emergendo dal processo al settantunenne Dominique Pelicot (e ai suoi 51 coimputati, di età compresa tra i 26 e i 74 anni) che è attualmente in corso ad Avignone. Nel corso del dibattimento sono stati ben evidenziati la manipolazione e gli inganni di Dominique Pelicot ai danni della propria moglie, culminanti con l’invito rivolto a decine di uomini contattati attraverso la rete di abusare di lei mentre era incosciente.
Nel condurre il suo terribile programma decennale di sistematica sopraffazione della moglie, Dominique Pelicot ha approfittato dei progressi tecnologici che si sono materializzati dal 1944 (quando uscì “Gaslight”) ad oggi, con particolare riferimento ai farmaci psicotropi e a Internet.
Le benzodiazepine (che hanno un ruolo ben conosciuto nel preoccupante fenomeno degli stupri facilitati da farmaci o “drug-facilitated rape”) gli hanno risparmiato la fatica di dover escogitare elaborate tattiche psicologiche per portare la propria moglie alla totale passività e gli hanno consentito di renderla un corpo a disposizione dei suoi complici, che lui ha potuto facilmente reclutare attraverso una chat online (oggi chiusa) caratterizzata da grande facilità di accesso e dall’anonimato degli utenti.
La testimonianza di Gisèle Pelicot al processo è stata oltremodo toccante, in quanto descrive come lei si sia dovuta dolorosamente rendere conto che l’uomo con cui era sposata da cinquant’anni e con cui credeva di avere un rapporto basato sulla fiducia, in realtà la drogava per consentire gli stupri da parte di decine di sconosciuti.
Dopo la scoperta dell’operato di suo marito, Gisèle ha finalmente potuto darsi una spiegazione dei vuoti di memoria e dei problemi ginecologici di cui soffriva da anni e che avevano fatto nascere in lei il timore di avere un principio di Alzheimer per il quale aveva preferito smettere di guidare. Il marito – da parte sua – era sollecito ad accompagnarla alle visite mediche, avvalorando così l’ipotesi che si trattasse di una patologia organica.
L’epilogo del film con Ingrid Bergman consiste in un momento catartico nel quale la protagonista affronta un drammatico faccia a faccia con il marito, dimostrando di essere uscita indenne dalle sue perfide macchinazioni. L’epilogo che il processo di Avignone sta proponendo all’attenzione di tutto il mondo è ben più significativo: il faccia a faccia di Gisèle non si svolge nel chiuso di una stanza, ma su un palcoscenico globale e il confronto non è solo con l’abietto marito, ma anche con le decine dei suoi coimputati (e con i legali e le famiglie dei coimputati, che tentano di ridimensionarne le colpe).
Il messaggio è forte e chiaro: non è certo la vittima a doversi vergognare, ma gli stupratori, che hanno commesso questi atroci reati nel corso di vite all’apparenza del tutto normali. Da qui il monito di Gisèle a tutte le donne: “uno stupratore non è soltanto qualcuno che incontri in un parcheggio buio a tarda notte. Lo puoi trovare anche in famiglia, tra gli amici”.
Davide Caramella