L’APPROFONDIMENTO – Riciclo
Nei numeri precedenti, Luca Maria Pedrotti Dell’Acqua nel suo articolo in due parti intitolato “Senescenza” ha sottolineato gli straordinari successi riportati dalla scienza medica negli ultimi anni. Tra questi la scoperta di terapie innovative che hanno la potenzialità di prolungare la nostra vita.
Ciò avviene perché l’industria farmaceutica finalizza i propri investimenti alla scoperta di farmaci nuovi. Questo è certamente un comportamento economicamente giustificato dal loro punto di vista, ma può valere la pena analizzarlo in dettaglio per capire se la salute delle persone può essere aiutata anche in modi diversi.
Lo sviluppo di un farmaco nuovo comporta investimenti dell’ordine del miliardo di Euro e richiede ricerche la cui durata in anni è spesso a due cifre. La cosa che non molti conoscono è che le industrie farmaceutiche dopo aver sviluppato un nuovo farmaco utilizzando risorse così rilevanti, appena ricevono l’autorizzazione all’impiego della molecola per curare una determinata malattia riducono gli studi sul farmaco autorizzato e passano all’incasso cercando di recuperare quanto investito grazie all’elevato costo del farmaco messo a punto che gode di tutte le protezioni legali che nei paesi a economia di mercato vengono garantite a tutela della proprietà intellettuale.
In alternativa a questo modello, è forse possibile immaginare di sviluppare nuove opportunità terapeutiche a costi mille volte inferiori (dell’ordine del milione di Euro) con tempi estremamente ridotti che potrebbero dare beneficio a chi ne ha bisogno in tempi brevissimi?
La risposta è sì ed è legata al “riciclo” dei farmaci, ovvero al riutilizzo di farmaci già approvati (e che sono costati moltissimo al sistema per il loro elevato prezzo iniziale) e che ora possono essere disponibili addirittura in forma generica e utilizzati per applicazioni terapeutiche nuove.
Di questo uovo di Colombo se ne è accorto uno studente di Medicina statunitense che – affetto da una rara malattia del tessuto linfatico – ha scoperto che poteva curarsi con un farmaco inizialmente immesso sul mercato per prevenire i rigetti d’organo dopo trapianto.
Adesso lo stesso farmaco viene proposto anche nei pazienti che faticano a tornare in perfetta salute dopo un’infezione COVID, a conferma che i farmaci raramente funzionano come ce li immaginiamo, ovvero come chiavi che aprono una sola serratura, ma che invece hanno il ruolo degli ingredienti che gli chef introducono in dosi e modalità variabili per modificare in modo progressivo e inaspettato i sapori di una loro specialità culinaria.
Che la cosa sia anche eticamente e politicamente sensata lo dimostra l’appoggio dato a questa linea di studi dalla Fondazione Clinton che sottolinea l’esistenza di un enorme potenziale nascosto nei medicinali già esistenti e utilizzati per curare solo alcune patologie mentre sarebbero in grado di salvare vite umane se usati in modo appropriato anche per altre patologie.
Una notizia recentissima riguarda la “banale” Aspirina che viene largamente impiegata nel dosaggio di 81 mg per prevenire patologie cardiovascolari e che si è dimostrata capace di agire efficacemente in un campo totalmente diverso. Infatti uno studio randomizzato “doppio cieco” ha messo in evidenza la capacità di questo farmaco a basso dosaggio di proteggere pazienti affetti da steatosi epatica non alcolica nello sviluppo di una successiva cirrosi e delle patologie oncologiche associate.
Forse dobbiamo iniziare a pensare dei farmaci quello che i saggi contadini da sempre sapevano del maiale: “non si butta via niente!“.
Davide Caramella