L’APPROFONDIMENTO – Terre di Chilli
Sgrovigliare le voci, dissognare i sogni: scrivo con la voglia di rivelare il reale meraviglioso, e scopro il reale meraviglioso nel cuore stesso della realtà orrorifica delle Americhe.
In queste terre, la testa del dio Eleggua ha sul volto la vita e la morte sulla nuca. Ogni promessa è una minaccia; ogni perdita un incontro. Dalle paure nasce il coraggio; e dai dubbi le certezze. I sogni preannunciano altre realtà possibili, e i deliri altre ragioni.
(Eduardo Galeano)
Cile è il Paese più sottile e allungato della Terra, disteso per 4300 chilometri dai nordici confini con Perù e Bolivia agli ultimi lembi di terra australe immerse nelle gelide onde dell’estremo sud e stretto, mediamente per 200 chilometri, fra la spina dorso-continentale elegantemente arcuata della Cordigliera andina a est e la costa pacifico-oceanica dalla Colombia allo Stretto di Magellano a ovest.
Anzi, a guardare meglio riecheggia proprio la figura di uno dei due serpenti, Cai Cai o Ten Ten, che secondo la mitologia mapuche combattendosi a vicenda e (anche) pro e contra gli umani diedero forma, né vinto né vincitore, al territorio cileno.
Intorno all’origine del nome, Chile, non c’è ovviamente opinione unanime, ma per esempio chilli in lingua mapuche ha il significato di ‘là dove la terra finisce’ oppure chin in lingua quechua indica il ‘freddo’ e ambedue le ipotesi non appaiono prive di fondamento.
Sembra che gli spagnoli, i conquistadores, abbiano per la prima volta appreso il nome Chile dagli Inca e dai sopravvissuti della, sfortunata fino alla tragedia, prima spedizione verso le ignote terre del sud (1535-36) di Diego de Almagro dal Perù i quali raccontavano di guerrieri che definivano se stessi ‘uomini di Chilli’.
Le direttrici per scendere a sud corrispondevano, nei fatti, al sistema di viabilità già ben organizzato dagli Inca da Quito alla zona (in seguito) di Santiago lungo due percorsi ben tracciati e mantenuti, uno alto montano e uno basso lungo costa, e ugualmente funesti fra i ghiacci andini o attraverso il deserto di Atacama per stranieri in difetto di conoscenze, di consuetudine ai luoghi e di equipaggiamento adatto.
Ma le bande dei conquistadores, numerosi nobili spiantati e decaduti o cadetti dediti alle armi, senza prospettive in patria, avventurieri singoli o in precarie forme associative, fuoriusciti dalla Spagna in cerca di facile fortuna a ogni costo e aggregazioni di disperati e di feccia non dissimili da quelle che avrebbero poi distrutto la civiltà anche dei nativi nordamericani, operavano in fretta per superarsi e in spietata competizione reciproca, anche arrivando a combattersi con le armi, sulla base di formali e pubbliche concessioni regie (capitulaciones) ottenute (prestando anche pesanti garanzie) con l’obiettivo di realizzare scoperte e colonizzazioni le quali davano diritto, se portate a buon fine, a titoli nobiliari e dominio personale per un certo qual numero di leghe sulle nuove terre (abitanti compresi considerati animali) onde nulla, se non la morte, avrebbe potuto fermarli.
Anche perché i finanziamenti per le spese e le garanzie verso la regia puntigliosa burocrazia erano anticipate dalle risorse degli stessi comandanti e ancor più da ricchi privati possidenti che pretendevano in ogni caso una congrua quota sui futuri guadagni.
È indicativo notare come essi medesimi si presentavano: Siamo venuti per servire Dio, il Re e anche per diventare ricchi (Bernal Diaz del Castillo, cronista della spedizione di Hernán Cortés del 1518, Historia verdadera de la conquista de la Nueva España) e come sulla falsariga delle tradizioni cavalleresche radicatesi durante la progressiva cacciata dei musulmani dall’Andalusia -che terminò nel gennaio 1492 con la resa dell’ultimo sultano di Granada nelle mani di Ferdinando e Isabella, Los Reyes Católicos, molti di loro considerassero anche la conquista del Nuovo Mondo una sorta di continuazione della lotta contro i pagani fino al punto di avere in Santiago Matamoros (San Giacomo uccisore di mori) il protettore da invocare prima delle battaglie.
La spedizione di Diego de Almagro si spinse, molto a fatica, fino a toccare il Rio Maule e tornò senza avere trovato le agognate ricchezze che i conquistadores, dopo le esperienze favolose della fin troppo agevole conquista dell’impero Inca, tendevano a prospettare ovunque.
Secondo il cronista Diego de Rosales Chile deriva dal nome di un cacique (capotribù) attivo nella valle Aconcagua (dall’omonimo fiume cileno, circa 100 km a nord di Santiago mentre la montagna dallo stesso nome è oltreconfine in Argentina) fino all’arrivo in valle dell’espansione politica Inca che fu arrestata, e non più scese oltre al Rio Maule, dalla fierezza libertaria delle ispide genti mapuche le quali, allo stesso modo, avrebbero poi tenuto sotto scacco per oltre tre secoli gli ancora più potenti e bellicamente avanzati spagnoli.
Aconcagua significa ‘neve sul monte’ e il fiume che si presta a coprire con il suo poetico nome l’ampia vallata è generato sulle Ande cilene da due piccoli affluenti a oltre 1400 metri e termina, dopo 150 chilometri, in un ampio estuario che si apre sfociando nell’Oceano a 20 chilometri a nord del porto di Valparaìso, località così denominata per la sua incantevole paradisiaca bellezza dall’equipaggio del navigatore italiano ligure Giovanni Battista (Juan Bautista) Pastene da Pegli, al servizio del re come ammiraglio della flotta spagnola il quale partecipò per mare alla conquista delle terre cilene con un luogotenente di Pizarro, Pedro de Valdivia ed ebbe fra i suoi ufficiali il cronista Jerónimo de Vivar, che avrebbe scritto la Crónica y relación copiosa y verdadera de los reinos de Chile (1558) e partecipato anche alla spedizione di Francisco de Ulloa, il primo navigatore, dopo un tentativo di Pastene fermato da indomite tempeste, a esplorare il vasto arcipelago dei Chonos e raggiungere 51° gradi di latitudine sud ritenendo di essere giunto allo stretto di Magellano.
Impresa conseguita invece dalla seconda nave della sua squadra (la terza affondata scendendo verso sud) al comando di Hernán Gallegos il quale riuscì ad attraversare lo Stretto nel senso inverso a quello di Magellano.
Nel 1541, su di una collina rocciosa (Cerro Huelén o Welén, in lingua nativa dal mesto significato di ‘dolore’ o ‘sfortuna’) erede di antico vulcano e in buona posizione strategica, fu fondata da Pedro de Valdivia la città di Santiago del Nuevo Extremo in onore e rimembranza dell’apostolo Giacomo, detto Maggiore, fratello di Giovanni e ultimo limite esplorato delle terre d’America non appena scoperte così come Santiago de Compostela (il cui dolce nome, Campus stellae, vagheggia un luogo cui attendono le anime in partenza per la salita verso il cielo) aveva in antico tracciato l’ultimo confine delle terre galleghe a piombo sull’Atlantico, prima della grande e inesplorata distesa marina.
Era questi un luogotenente di Francisco Pizarro, il conquistatore del Perù, che dopo Diego de Almagro, ha esplorato, a partire dal 1540, la parte nord del Cile e ha combattuto contro le popolazioni indigene preparando la colonizzazione spagnola nonostante la difficoltà del territorio (deserto di Atacama) e i combattivi abitanti.
Curioso particolare che de Valdivia agisse in compagnia d’arme con una donna, Inés Suárez, originaria della Estremadura come lui, la quale, vedova di un militare della squadra di Pizarro e dopo essere stata aggregata al seguito in qualità di domestica, non si limitava a essere sua amante bensì anche capace e valorosa combattente oltre che infermiera ed economa ricordata, fra l’altro, per avere salvata, in assenza del compagno, la neo fondata Santiago, presa d’assalto e in stato già di avanzata distruzione per la rivolta indigena, dalla definitiva sua rovina conducendo di persona una vittoriosa carica di cavalleria contro gli assalitori.
La manifesta convivenza more uxorio della vivace e intraprendente guerriera con de Valdivia, che peraltro era sposato e nel frattempo divenuto governatore, fu infine occasione per una accusa di immoralità pubblica, non disgiunta da altre contestazioni di rito, all’esito del cui processo (assolutorio) in Lima il fedifrago marito, cessata la relazione extraconiugale, tornò con la legittima consorte, mentre la signora andò sposa a un generale in seguito a sua volta governatore.
Deposte spada e cotta di maglia ferrea, la Signora dei conquistatori (The conqueror’s lady), come fu denominata nella storiografia posteriore, si volse a vita tranquilla e ritirata come a opere di pietà a servizio del prossimo in una con l’augusto consorte. E di recente, fuori dai brevi richiami dei libri di storia, è tornata quale protagonista del romanzo di Isabel Allende ‘Inés dell’anima mia’ (Inés del alma mia) scritto in forma di un diario destinato a lasciare il resoconto delle sue molte avventure alla figlia adottiva.
Le nuove terre si specchiano nella Historia General del Reino de Chile scritta da Diego de Rosales che nella prima parte descrive, secondo la tradizione classica, geografia, fauna, flora, vita e costumi dei nativi e nella seconda racconta vicende e cronache da Diego de Almagro alla grande insurrezione mapuche (1655).
Fu costui, nato a Madrid nel 1601 e morto a Santiago del Cile nel 1677, storico e scrittore prima seguace della Compagnia di Gesù con la quale giunse in Cile nel 1629 e poi anche sacerdote nella residenza gesuita di Arauco e prese parte alla guerra di Arauco accompagnando i governatori colonizzanti a capo delle azioni belliche contro i Mapuche.
In tale modo apprendendone linguaggi, storia e usanze e in particolare direttamente e da vicino nel corso dei ‘parlamenti’ che erano riunioni assembleari di nativi e spagnoli nelle quali si cercava di trovare (fragili e contingenti) punti di intesa e di tregua.
Luca Maria Pedrotti dell’Acqua
(continua)
