HomeDialogandoL’EDITORIALE – Il caso Mr. Libia: tra giustizia e misteri politici

L’EDITORIALE – Il caso Mr. Libia: tra giustizia e misteri politici

Stando alle informazioni (allo stato) note, Mr. Libia, dal 2011 accusato di svariati crimini contro l’umanità, è uso girare per l’Europa anche a scopo di shopping sotto passaporto della Dominica (Commonwealth of Dominica), lussureggiante e amena isola caraibica componente dell’area di libero scambio Comunità Caraibica (CARICOM), riconosciuta dall’Italia come paradiso fiscale e dal 1999 compresa  nella ‘lista nera’.

Sembra altresì, notizia dalla Germania, che recentemente avesse ottenuto anche un visto d’ingresso decennale negli USA ove, all’evidenza, soggetti consimili sono benvenuti (e a maggior ragione in ambiente MAGA) a motivo della loro pluriennale esperienza negli umani rapporti.

Più nel dettaglio, sempre a quanto è noto, il suo più recente viaggio europeo, a innesco di crisi internazionale e nazionale, inizia a Fiumicino (senza entrare in Italia: area transiti) e prosegue per Londra e quindi entra in area Schengen: Francia, Bruxelles, Germania (ove fa acquisti ed è anche fermato a un controllo dalla polizia) dalla quale al termine della visita diparte in auto a noleggio in dichiarata direzione di Fiumicino.

La sola Germania sembra sia stata destinataria, da parte della Corte Penale Internazionale, di una nota ‘blu’ (finalizzata a sorvegliarne con discrezione mosse e contatti) estesa poi, il 18 gennaio, anche ad altri Paesi, ma non all’Italia la quale (trattamento personalizzato) prima riceve dalla propria ambasciata a L’Aia una richiesta di cooperazione da parte della CPI e quindi, in rapida sequenza, la notizia di una possibile (il noleggio è con restituzione a Fiumicino, ma non è mai detto) entrata in territorio nazionale, un rapporto tedesco sugli accertamenti colà effettuati a carico dell’illustre ‘attenzionato’, come dicono i questurini, e quindi nella notte fra il 18 e il 19 gennaio la CPI chiede e ottiene che Interpol trasformi la nota blu in rossa, cioè obbligatoria dell’arresto cui la Digos procede in un albergo torinese, dopo una partita di calcio.

La Corte d’appello di Roma, competente per i casi internazionali, rileva talune irritualità nella vicenda dell’arresto e i magistrati sottopongono il caso, come da norma, al ministro della Giustizia il quale tacendo non fornisce risposta alcuna onde Mr. Libia esce di cella libero e giocondo e, seduta stante, è preso ed espulso dai patrii confini in quanto dichiarato soggetto pericoloso e come tale ricondotto a casa sua con un volo privato, cioè a lui solo dedicato, dei servizi di sicurezza nazionali a spese dello Stato.

Il gomitolo, già abbastanza stretto, si ingarbuglia ulteriormente allorché, nella baruffa politica prontamente sollevata dall’opposizione a fronte di un comportamento del governo che la rende in effetti agevole e presentata su piatto d’argento, un avvocato presenta un esposto alla Procura di Roma per favoreggiamento e peculato e il Procuratore (nel caso specifico non esattamente una ‘toga rossa’ secondo il comune intendere) mette prontamente sotto indagine la presidente del Consiglio, i ministri degli Interni e della Giustizia, il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio e delegato per la sicurezza della Repubblica e si profila di conseguenza all’orizzonte il Tribunale dei ministri che sarà chiamato a pronunciarsi in merito come previsto dalla legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 che lo istituì.

Ora c’è un ulteriore passaggio in quanto altro avvocato ha presentato altro esposto sia vs il primo legale (calunnia aggravata, attentato agli organi istituzionali e vilipendio delle istituzioni) sia vs il Procuratore (omissione d’atti d’ufficio e oltraggio a un corpo politico).

Lasciando, come giusto, avvocati e magistrati al loro mestiere di lavorare nel merito della vicenda e in particolare sulla sua qualifica o meno di atto politico insindacabile al di fuori della  sede naturale che è la dinamica parlamentare, il cittadino comune trova in ogni caso stupore e taluni interrogativi in certi aspetti della matassa.

Mr. Libia scorrazza in Europa come a casa sua e certo non essendo né un incosciente né uno sprovveduto (dato che in patria non solo è rimasto vivo in tutti questi anni, ma anche fatto carriera) significa che si sente tranquillo e sicuro: avrà i suoi motivi (in parte almeno parrebbero essere già stati confermati dagli avvenimenti).

La CPI palesa un comportamento giuridicamente e proceduralmente curioso: decide di chiedere l’arresto del discusso e ‘attenzionato’ personaggio quando pare certo che colui sia in Italia: avrà avuto del pari i suoi motivi, ma sarebbe opportuno che l’Italia cercasse di capire come mai il cerino sia stato acceso giustappunto per esserglielo consegnato in tempo di notte: qualche collega puntava a provocare una brutta figura fra alleati ovvero contava che fosse il modo più diretto per liberarsi dell’incomodo?

L’opposizione fa il suo mestiere, ma in realtà la gestione della vicenda da parte del governo appare, fra silenzi, balbettii e parole deboli, poco comprensibile.
Il governo, se fa il governo, lo faccia fino in fondo, ma senza confidare di avere come interlocutori zucche galleggianti o così distratte da essere disponibili a bersi qualsivoglia mistura.

La vicinanza fisica con, sfortunatamente, la incerta e pericolosa regione africana comporta attendibilmente anche posizioni e contorcimenti forse non del tutto pubblicizzabili -non solo da parte di questo governo, si capisce, ma anche dai precedenti- onde, se è il caso, assumendosene la responsabilità politica si appelli alla ragion di Stato e secreti di conseguenza il fascicolo.

Poi si presenti in Parlamento, dove peraltro gode di solida maggioranza, e si comporti coerentemente di conseguenza.

Meno polemiche inutili, meno tempo perso con tutto il lavoro che (in teoria) pende e meno strumentalizzazioni da ogni parte.

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