L’EDITORIALE – Gaza, la guerra dei fantasmi: tra macerie, ostaggi e ipocrisie internazionali
La (attuale) guerra in Medioriente è iniziata quando Hamas fece irruzione in Israele dalla Striscia il 7 ottobre 2023, uccidendo oltre 1.200 persone e portando a Gaza più di 250 ostaggi in gran parte poi scomparsi come scomparsa è la città medesima, ridotta oramai a una landa scheletrica e desolata.
I morti di questa guerra sono contati fra 70.000 e 80.000, al 60-70% civili e in maggioranza bambini, donne, vecchi (a parte una stima di The Lancet che aumenta il cimitero del 40%) senza contare le morti indirette, ovvero i decessi causati non dalle bombe, ma dalle conseguenze della guerra sulle condizioni di vita: cioè dalle conseguenze di salute, economiche, sociali, psicologiche della popolazione considerando che il 90% nella Striscia è da tempo sfollata e vive nelle tane: sono 2 milioni di persone su un’area di 40 per 8 chilometri circa.
Ora una parte della comunità internazionale prova (infine) a premere formalmente sul governo di Tel Aviv con una dichiarazione congiunta firmata da 25 Paesi -di cui 17 Ue (Italia, Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svezia) e 8 extra-Ue (Australia, Canada, Islanda, Norvegia, Nuova Zelanda, Regno Unito, Svizzera e Giappone) cui si è aggiunta la commissaria europea per le Gestione delle crisi- e chiede un cessate il fuoco che consenta alla popolazione civile palestinese di ricevere cure e assistenza ponendo fine a una politica israeliana giudicata inaccettabile.
Il testo della dichiarazione invita la comunità internazionale (quindi è rivolto anche a sé) a uno sforzo comune per un cessate il fuoco immediato e permanente e considera orribile che più di 800 civili siano stati uccisi mentre cercavano aiuto.
Non sanno neanche contare.
Tra l’altro la maggior parte di queste vittime si trovava nelle vicinanze dei siti della Gaza Humanitarian Foundation (GHF) che Stati Uniti e Israele hanno organizzato per rilevare la distribuzione degli aiuti precedentemente in mano alle Nazioni Unite, ma accusate di intelligenza con Hamas.
In parallelo c’è anche un’altra dichiarazione critica verso Tel Aviv, del pari tardiva, da parte del patriarca di Gerusalemme Pizzaballa, reduce da una ispezione in loco con il collega ortodosso Teofilo III (Su Gaza il governo israeliano non è giustificabile, abbiamo il dovere di dirlo chiaramente) che segue l’appello di Papa Leone all’Angelus di domenica scorsa per la fine della barbarie della guerra, il rispetto del divieto di punizione collettiva e dell’uso indiscriminato della forza nonchè lo spostamento forzato della popolazione.
Forse non era neanche necessario attendere di andare sul posto oggi, al ventiduesimo mese di guerra e comunque dopo il bombardamento del 17 luglio sulla Chiesa della Sacra Famiglia (tre morti e dieci feriti fra cui il parroco cui Francesco papa quotidianamente telefonava), per giudicare che Ciò che accade a Gaza è moralmente inaccettabile e ingiustificato.
Fra i firmatari del documento, subito respinto da Israele per il quale non solo la dichiarazione sarebbe scollegata dalla realtà, ma invierebbe ad Hamas un messaggio sbagliato (cioè farebbe il suo gioco, ndr), ci sono quattro dei cinque paesi in alleanza di condivisione dell‘intelligence Five Eyes (formata da Australia, Canada, Nuova Zelanda, UK, USA).
La dichiarazione non riesce a concentrare la pressione su Hamas e non riesce a riconoscere il ruolo e la responsabilità di Hamas per la situazione precisa Israele che nell’occasione produce una nuova offensiva nella città di Deir al-Balah, in mezzo all’enclave palestinese, e in ogni caso (oltre a quella della Germania) manca al documento la firma degli USA il cui presidente, che lascia mano libera all’alleato estremista, ebbe a esporre il lungimirante piano di trasformazione (in particolare degli immobili, attività nella quale egli stesso primeggia) del litorale lungo il Mediterraneo in Riviera del Medio-Oriente nell’entusiasmo del governo israeliano e nel consueto silenzio degli occidentali.
Piano recentemente ripreso, con scintillante ricostruzione in IA, da un’esponente del governo di Tel Aviv la quale, se non fosse stato ancora del tutto chiaro, ha confermato: O noi o loro.
Il testo UE ed extra-UE non è il primo, ovviamente, e arriva dopo che all’ONU il Consiglio di Sicurezza ha già adottato alcune Risoluzioni di ‘cessate il fuoco’, peraltro incappate more solito nel veto incrociato secondo le convenienze del balletto delle parti.
Le firme degli ardimentosi ministri, che si dicono pronti (in questi tempi sono, in Europa, sempre tutti pronti) ad agire per intraprendere ulteriori azioni (all’evidenza considerando la presente loro una azione) allo scopo di sostenere un ‘cessate il fuoco’ immediato e un percorso politico verso la sicurezza e la pace per israeliani, palestinesi e l’intera regione, senza altro specificare, certificano altresì una (del pari tardiva) critica valutazione circa la costruzione, da tempo in corso, di insediamenti in tutta la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, accelerata e aumentata così come la violenza dei coloni contro i palestinesi.
Tutto questo deve cessare, dichiarano.
Meglio tardi che mai, se pure la comune iniziativa servisse realmente a qualcosa, ma il rischio di sua utilità è veramente minimo e inversamente proporzionale alla ipocrisia politica che la connota fra parole usurate fino alla consumazione dall’ignavia e dall’indifferenza.
Israele e Hamas, governi che hanno (disgraziatamente per i rispettivi sudditi) potere dispositivo sulle rispettive popolazioni, sono impelagati in una guerra, se possibile, ancora più sporca della guerra in sé dato che, progresso della umanità e non certo da oggi, è svolta interamente ed efficacemente in mezzo ai civili e sulla loro pelle a perdere.
Bei tempi quando, nei secoli bui, almeno una parte della guerra si realizzava sul campo di battaglia dove si scontravano soldati.
Ciascuno dei due contendenti, secondo l’unica regola riconosciuta e osservata anche in sede internazionale da tutti, scarica la responsabilità sull’altro non considerando la propria (Hamas ha dato consapevolmente avvio al conflitto, ma Israele la cui politica, di fatto, preferiva grottescamente Hamas a OLP in prospettiva del mantenimento della irrisolta da decenni questione palestinese?) e ambedue sono motivatamente accusati dalla Corte Penale Internazionale di crimini contro l’umanità né potrebbe essere diversamente se i civili, da un lato, sono considerati scudi umani e, dall’altro, casuali presenze prive di valore rispetto ai preminenti obiettivi militari.
Ambedue i governi sono entrati, coscientemente e irresponsabilmente, nelle (proprie) sabbie mobili a tal punto da non poterne più uscire senza perdere la faccia e, non ultimo, il potere personale oscenamente loro conferito dalla guerra.
E’ solo un modo di dire naturalmente perché la faccia, quella vera, l’hanno persa irrimediabilmente e da molto.
Quindi la pace, immersi come sono nell’odio reciproco che sparge nel vento spore di altro odio, non la faranno a meno di non esservi costretti obtorto collo dall’esterno e questo significa dai rispettivi e diretti sponsor, coloro che li sostengono, li alimentano e li armano: i medesimi che si distinguono nei tetri minuetti in casa dell’ONU e che, da una parte e dall’altra, li finanziano (padroni del petrolio compresi, abili nel gioco delle tre tavolette) a proprio uso e consumo e fingono pure negoziati bugiardi come loro stessi.
Un ammalato grave non riesce a curarsi da solo, ma è nelle mani del medico: se questi è responsabile e cosciente della sua funzione, oltre che competente, ci sono per lui speranze di salvezza.
Se è, viceversa, il medico un macellaio senza onore che fa della professione uno strumento conveniente solo a sé (accade anche fra i discepoli di Ippocrate) non c’è speranza veruna, nonostante il coro dei numerosi batraci notturni, e la metastasi avanza.