L’EDITORIALE – Dopo Ferragosto: tra decomposizioni e dichiarazioni
Il mese di agosto, cui rivolgere lo sguardo dalle rive settembrine, appare sintesi di diversità non solo biologiche e, quasi, loro allegoria.
La città si calma e si affranca dalla consueta sua sindrome del crowding & cramping fino al punto che i rarefatti cittadini, incontrandosi per vie inaspettatamente tranquille e silenziose, si scambiano perfino sguardi quasi normali e non ringhiosi come di consueto. In particolare, i conducenti degli autobus, rilassati quanto basta, arrivano a salutare i passeggeri con un benevolo cenno del capo o addirittura con una mezza, ma avvertibile parola gentile.
Il rovescio della medaglia è la malinconia che emana dagli asili e dalle scuole irrimediabilmente chiuse e sospese anche le cinguettanti attività di campus estivi e simili per i bambini, piccoli e meno piccoli, le cui famiglie sono rimaste o sono ancora in attesa di cambiare cielo: a sera se ne vedono ai parchi giochi e ai giardinetti e non è certo se lieti o intimiditi dal vuoto inusuale.
Fra i vecchi, del pari frequentatori dei verdi spazi, ce ne sono anche (li si riconosce guardandoli in faccia) di quelli che non sopportano le voci dei piccoli nei giochi e si godono astiosi il silenzio.
Il tempo, indipendentemente da dati e statistiche atmosferiche ammannite con maniacale solerzia dalla stampa, scorre indifferente e diviso in due parti: fino a Ferragosto caldo, molto caldo e temperature africane e subito dopo, plenilunio o luna nuova che sia, temporali e ripetuti piovaschi i quali, da che mondo è mondo, segnano indelebilmente il termine dell’estate.
Che non corrisponde all’Equinozio d’autunno, per convenzione il 21 settembre (quest’anno precisamente il 22), ma alle potenti perturbazioni di mezzo mese passate le quali i colori dei luoghi -campagna, mare, monte, città e trasparenza dell’aria- sono, come chiunque può osservare, diversi dai precedenti.
E non si tratta di una valutazione estetica o di preferenza, ma di sostanza.
Traguardati a posteriori cambiano aspetto anche fatti, eventi e notizie giorno per giorno presentati dai media e letti o ascoltati con altalenante attenzione.
In verità questo appiattimento o, meglio, evaporazione di cose che sembrano importanti è tipica del fluire della clessidra e, salvo (vere) eccezioni, si realizza costantemente, ma per onore di cronaca eccone, dalla prospettiva settembrina, taluni esempi osservati da uno qualsiasi.
A volte certi scienziati arrivano a intuizioni cui nessun altro umano, pur dotato di fantasia, mai approderebbe da solo: studiando nelle ossa di alcuni Neanderthal (Homo neanderthalensis) i livelli di un certo isotopo dell’azoto, presente in elevata misura solo in animali altamente carnivori, un recente studio suggerisce infatti autorevolmente che i progenitori, spinti dalla fame, si cibassero con regolarità (rectius: quando ci riuscivano, ndr) di carni in decomposizione e brulicanti di vermi.
Il presidente della Repubblica è finito tra gli “esempi di manifestazione di russofobia” pubblicati nel sito ufficiale del ministero degli Esteri russo per avere detto, in un suo discorso all’Università di Marsiglia dove ha ricevuto una laurea honoris causa, che “Il risultato fu un rafforzamento dello spirito di conflitto piuttosto che di cooperazione, nonostante la consapevolezza della necessità di affrontare e risolvere i problemi su più ampia scala. Ma prevalse il principio di predominio, non la cooperazione. E queste furono guerre di conquista. Questo era il piano del Terzo Reich in Europa. L’attuale aggressione russa contro l’Ucraina è di questa natura“.
È comprensibile che alla spia venuta dal freddo dia fastidio essere messo in analogia nazista dal rappresentante di un Paese che se lo invadesse, ben diversamente dalla Ucraina, lo accoglierebbe in (notevole) misura bipartizan a braccia aperte giusta la ancestrale regola del Franza o Spagna.
Il segretario di Stato americano ha riferito che il presidente sta “perdendo la pazienza” con Putin perché Mosca non fa nulla per porre fine alla guerra in Ucraina. “Penso che stia diventando sempre più frustrato dal fatto che, nonostante abbia ottimi rapporti con Putin al telefono, non si arrivi mai a nulla. Quindi è giunto il momento di agire”.
Da parte sua, il presidente ha continuato a baccagliare worldwide in disordine sparso con disposizioni, minacce, ultimatum. Non tutti lo prendono sul serio, a parte quando si tratta di soldi, e infatti lo scenario internazionale è un grande e vociante suq.
Pensare eccessivamente riduce la capacità di vivere il presente e altera la fisiologia cerebrale. Sebbene non sia certo che la detta ipotesi risulti poi tanto estesa da preoccupare sul serio, è nondimeno da tenere presente che quando il cervello pensa troppo consegue calo di attenzione e della memoria, aumento dello stress, disturbi del sonno e affaticamento mentale, maggiore vulnerabilità a depressione e ansia.
Un monaco buddhista giapponese, R. Koike, individua lo overthinking come “malattia moderna” e propone il ritorno al corpo (percezione sensoriale, respirazione, presenza mentale) per interrompere il pensiero automatico.
Un leader del gruppo nazionalista bianco Aryan Freedom Network (USA) ha dichiarato che il taikùn ha risvegliato molte persone sulle questioni che abbiamo sollevato per anni. È la cosa migliore che ci sia capitata.
Alla fine, il presidente USA è riuscito a realizzare il promesso tête-à-tête con il suo omologo russo in Alaska, ad Ancoraggio, più o meno a metà strada, come è giusto, fra Washington e Mosca: tappeti rossi, fotografie ufficiali, apparenze e proclami ispirati al celebre venni, vidi, tornai.
Toll in te sacc, suggerivano in casi analoghi i saggi un tempo, libera lasciando la traduzione sia alla lettera sia a senso.
L’illustre ospite, sotto accusa da parte della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra, indecifrabile e imperturbabile come al solito, incassa alla grande apparendo trionfante sui media di tutto il mondo e svicola.
Fra l’altro, con avvedutezza degna dell’organizzazione dalla quale proviene, risulta avere depositato i suoi bisogni in un contenitore speciale, non intendendo lasciare tracce biologiche potenzialmente rivelatrici del suo stato di salute.
Quindi, alla recente parata di Pechino per l’ottantesimo della vittoria della Cina sul Giappone, in registrazione fuori campo ha tratteggiato con il collega cinese la possibilità di prolungare la (loro) vita fino a 150 anni anche per il tramite del trapianto degli organi.
Si possono immaginare schiere di scienziati e tecnici disciplinatamente inquadrati già all’opera con alacrità (non per nulla le espressioni facciali dei due soggetti sono già immutabili e fedeli negli anni come la Benemerita) sia per garantire una efficace manutenzione straordinaria sia per la messa a punto, in itinere, di cloni sostituivi.
E per terminare, ecco anche qualcosa (l’eccezione) che non evapora: Cesare Zavattini, morto 35 anni fa, negli anni Ottanta andava per scuole a parlare di pace. Un giorno scrisse: Sono stato in una scuola della borgata San Basilio di Roma e ho imparato qualche cosa. Hanno parlato della pace autorevoli persone con spregiudicatezza. Un bambino ha detto e scritto semplicemente: la pace è libertà di non essere comandato.